Opera, di Dario Argento

Un film sulla potenza della vista e l’ambiguità dell’immagine. A volte scade nei dialoghi quasi teatrali, ma mai si concede all’anticipazione e continuamente riconfigura lo sguardo e la storia.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Folle, micidiale metacinema, dove lo sguardo riflette senza sosta su di sé. Artigiano della suspense, pronto a mischiare innocenti e colpevoli, bambine e assassini, vittime e carnefici, Dario Argento è una molteplicità fluida di punti di vista, trapassa insensibilmente il suo sguardo in quello del mostro, nella non-cesura del passaggio dalla casa della protagonista Betty al teatro, nel momento in cui tutto ha inizio. Poco prima, ecco una di quelle sequenze tagliate con l’accetta in cui si riconosce uno dei molti marchi di fabbrica dell’autore: l’incidente di macchina che mette a riposo ‘la grande Mara Cecova’…

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L’occhio da uccidere, l’occhio da celebrare. Opera mette in scena un senso – la vista – che non serve a niente, perché l’immagine – qualsiasi immagine – di per sé è falsa. Anzi, cercare di raggiungere una qualche forma di conoscenza attraverso gli occhi – Mira, l’agente di Betty, ci prova a salvarsi attraverso uno spioncino – può essere letale…

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L’occhio che uccide, l’occhio che salva. Un coltello affilatissimo scricchiola sulla superficie televisiva, che solo in apparenza unisce, e irrimediabilmente rinchiude e divide. A quel coltello il montaggio connette l’occhio del corvo, vera e propria ‘regia nella regia’ di questa decima prova del maestro italiano. Lo sguardo-cinema riesce a smascherare l’assassino: è la soluzione del regista di cinema passato a dirigere il ‘Macbeth’ in teatro. Lo sguardo-persona intuisce la via di fuga molto prima che tutto, ancora una volta, precipiti: è Betty che guarda particolari apparentemente insignificanti nel secondo finale…

La sceneggiatura di Opera a volte scade nei dialoghi quasi teatrali, ma mai si concede all’anticipazione e continuamente riconfigura lo sguardo e la storia, mettendo in questione e risolvendo per iperboli ed esasperazioni (il voyeurismo come fonte atavica di morte e orrori e reiterati) il concetto di visione: ferire quasi a morte, con rabbia, con accanimento, con crudeltà, uno sguardo che è inutile; al tempo stesso dominarlo, costringerlo a guardare. E a rispecchiarsi. Il sublime e l’infimo, voci di soprano e rumori di corvi nella splendida apertura. Embodied voyeurism, pulsione connaturata. Ci piace guardare, o ci fa orrore? La non-risposta è in Betty, sempre sul limite dell’ambiguità, costretta a guardare il suo stesso male. Male genetico di una madre sadica, portato dentro in stralci strascicati di ricordi/sogni. Il male è dentro. La fuga è inibita. Non c’è scelta. Ferire lo sguardo inutile, dominare lo sguardo che vorrebbe distogliersi; poi, in quel meraviglioso e anarchico primo finale nel teatro, celebrarlo, esaltarlo con una spettacolare soggettiva a spirale, vortice di immagini, pura adrenalina; infine, vendicarlo – occhio per occhio

In Opera c’è un accanimento più esasperato del solito sul corpo. Ma soprattutto, non c’è confine tra l’occhio dentro e l’occhio fuori: e con un’inquadratura improvvisa, di dettaglio, Argento costringe anche noi a guardare il coltello infilato nella bocca della vittima. E già, di nuovo, quell’immagine è falsa: quasi pop, decisamente stonata rispetto alla desaturazione ombrosa della fotografia. Con buona pace della verosimiglianza, e lunga vita all’arbitrarietà – Hitchcock da qualche parte, forse, sogghigna…

Singolare quello stesso accanimento, se si pensa agli eventi negativi nella vita privata di Dario Argento che precedono e accompagnano il concepimento di Opera. Il regista aveva infatti progettato la realizzazione del ‘Rigoletto’ in chiave horror per il teatro di Macerata, ma la direzione artistica si è rifiutata di accettarlo; a questo si deve aggiungere la morte del padre, l’imminente divorzio dalla Nicolodi, l’arresto per il possesso di droga.

Il Teatro di Opera è quello regio di Parma, e il film è stato girato tra Lugano e Roma: nella scena della fuga nel traffico di Betty, dopo l’omicidio della costumista, è visibile sullo sfondo la Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. Le riprese cominciarono il 25 maggio 1987 e terminarono il 14 ottobre; il film è uscito in Italia il 19 dicembre 1987 e negli Stati Uniti solo il 6 Settembre 1991. All’uscita, Opera è stato vietato ai minori di 18 anni sia in Italia (dove poi il divieto è stato ridotto ai minori di 14 anni) che all’estero. Negli USA il film è stato un rated “R”, vietato ai minori di 17 anni non accompagnati. Gli effetti degli omicidi sono stati curati da Sergio Stivaletti. Secondo quanto riportato in un’intervista nel libro di Luca M. Palmerini ‘Spaghetti Nightmares’, per il finale del film Dario Argento si è ispirato al romanzo di Thomas Harris, Red Dragon.

Regia: Dario Argento
Interpreti: Cristina Marsillach, Urbano Barberini, Ian Charleson, Daria Nicolodi, Coralina Castaldi-Tassoni, Francesca Cassola, Antonino Iuorio, William McNamara, Barbara Cupisti, Carola Stagnaro, Sebastiano Somma, Michele Soavi
Distribuzione: Luce Cinecittà
Durata: 107′
Origine: Italia, 1987

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2
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Il voto dei lettori
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