Perfumed with Mint, di Muhammad Hamdy

Sospeso in un tempo privo di riferimento, offre i suoi bagliori di verità, ma anche alcune sue fragilità in un certo e voluto avvitamento delle situazioni. VENEZIA81. Settimana della Critica.

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Sospeso in un tempo privo di riferimento, senza alcuna coordinata temporale, in un tempo espanso o strettissimo, in un relativismo onirico, disarticolato come i sogni, sovrapponibile come gli stati della coscienza, Perfumed with Mint dell’egiziano Muhammad Hamdy, selezionato per la Settimana della Critica, intende non solo ritrovare un cinema quasi originario, ma ne utilizza le potenzialità per lavorare su un mondo parallelo e intimo, su una condizione che solo apparentemente ripete le forme della temporalità quotidiana.
Bahaa è un medico e un amico si presenta da lui perché sul suo corpo spontaneamente crescono germogli di menta. Ma in realtà i due sfuggono al loro passato e ai fantasmi che li inseguono. Fantasmi e ombre minacciose che turbano irrimediabilmente le loro esistenze.
Muhammad Hamdy scandaglia le coscienze e, in bilico tra Lynch e Beckett, sperimenta la possibilità di un cinema quasi ipnagogico che ci traghetta verso gli stati fluttuanti della coscienza. Perfumed with Mint è fondato su queste fragilità, su una trasparenza notturna che diventa la materia oscura dentro cui si muovono i personaggi. Dentro questa rapsodia onirica domina il tema della fuga da qualcosa, da qualcuno, ma soprattutto da un passato che si fa terra sconosciuta.

È in questo vagare senza coordinate temporali che il film, vero oggetto unico, più che raro, offre i suoi bagliori di verità, ma anche alcune sue fragilità in un certo e voluto avvitamento delle situazioni che si reiterano nella loro teatralità del quasi nonsense, confinante con quell’assurdo che diventa condizione dell’esistenza.
Peppermint with Mint, annullando ogni istanza narrativa consueta, si fa sperimentatore e conduttore del tempo liberato dai condizionamenti. Il film conduce verso un solo destino che è quello di un annullamento assoluto di ogni forma di esistenza se non fosse per il germogliare del corpo in una appropriazione aliena dell’umano che risponde solo alla sua coscienza. Muhammad Hamdy sospende ogni neutralità nel suo percorso d’autore e si schiera con un cinema sedimentato nel tempo come traspare tra le righe di questo inenarrabile film. Da qualche parte, forse, una metafora politica che riguarda la condizione del suo Egitto, ma dolentemente ammantata tra le pieghe di un ininterrotto sogno che si muove in quella fluidità del montaggio degli stati del sonno. In quella condizione in cui travolti dal passato che sa farsi visione trasparente si percepiscono le verità, ma non si riesce a viverne completamente l’estasi.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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