Pesaro60 – Incontro con Franco Maresco

Ospite a Pesaro, il regista palermitano si è collegato a distanza per un incontro col pubblico moderato da Pedro Armocida e Fulvio Baglivi, che ha curato la monografia a lui dedicata

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Ospite della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro che gli ha dedicato la monografia Ad malora! Opere, film e cinema di Franco Maresco, curata da Fulvio Baglivi, il regista palermitano si è collegato a distanza per un incontro col pubblico moderato da Pedro Armocida, in cui ha dialogato con varie figure del panorama critico italiano. Col suo solito tono tagliente Maresco ha parlato del suo lavoro sulla mafia, ma anche dello stato attuale del cinema e del suo futuro, tra tecnologia e intelligenza artificiale.

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Partendo da Enzo, domani a Palermo!, unico film del programma pesarese firmato Ciprì e Maresco, passando poi per Belluscone e La mafia non è più quella di una volta, il regista ha riflettuto lungamente sul suo modo di raccontare la mafia, in quelli che lo stesso Baglivi ha definito tre film definitivi: “Belluscone e La mafia non è più quella di una volta sono due film che in qualche modo possono essere considerati definitivi, ma non c’è niente di mitomaniacale, di presuntuoso, perché non mi riferisco al risultato estetico. Lo sono, e sarei ipocrita se questo non lo riconoscessi, perché credo che già 40 anni fa ho fatto un lavoro intorno alla mafia declinato in tutte le forme, tv, cinema, teatro, prima ancora le vignette quando ero giovane, e credo di conoscere bene che cos’è la mafia. Sono palermitano, nato e cresciuto in un periodo in cui la mafia la respiravi, c’era un’interazione quotidiana. Aveva ragione Falcone quando in un’intervista diceva che non si può capire la Sicilia se non si è siciliani. Vedeva la mafia non solo come un fenomeno criminale, ma come qualcosa che si portava dietro un mondo culturale, una forma mentis secolare, tutta una serie di codici, di gestualità, qualcosa di infinitamente difficile”.

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Prosegue: “Credo che in quel periodo Cinico TV sia stato qualcosa di nuovo rispetto a quello che c’era stato precedentemente e rispetto a ciò che di lì a poco non sarebbe più stato possibile, anche per motivi di trasformazione dei mezzi di fruizione tecnologici. Quel mondo siciliano, da un lato la mafia ma dall’altra parte anche la visione della Sicilia, era piuttosto convenzionale. Prima che arrivassimo io e Ciprì, c’era un po’ la metafisica della mafia, pensiamo al film di Petri Todo Modo, ma anche Cadaveri eccellenti di Rosi. Era vista come qualcosa di distante, la mafia era un mistero, fino ad arrivare a una forma di astrazione quasi metafisica. Ecco, noi, io e Ciprì, abbiamo portato col nostro lavoro una lettura inedita della Sicilia, di Palermo, e quindi questa componente umoristica nell’immagine, nei corpi, negli attori. Abbiamo fatto un lavoro sulla mafia unico che era anche ficcante, di critica spietata nei confronti delle forme con cui era stata raccontata, una presa in giro di quella visione così cartolinesca, così piena di cliché. In Enzo, domani a Palermo! a me interessava ancora l’uomo, mi interessavano ancora i pezzi di merda. Mi interessava quella parte umana, mi interessavano le parti interiori degli esseri umani, dei mafiosi, anche dei più spietati e questo non è più fattibile da molto tempo. La mafia, così come Sciascia la vedeva e come Sciascia la racontava, con questo legame col potere, metafisica quasi, quella non c’è più. E Belluscone e La mafia non è più quella di una volta sono esattamente l’azzeramento di senso del nostro tempo. Non c’è più bene e male, non c’è più mafia, non c’è più antimafia. Siamo nella società dello spettacolo. È finita”.

Ha poi continuato: “Tutto quello che è stato fatto di buono e interessante al cinema sulla mafia l’hanno fatto gli americani, Scorsese, Coppola… Intendo proprio per la psicologia. Sebbene si tratti della mafia italo-americana. Poi per il resto, se metti Rosi e togli qualcosa, non esiste nient’altro. Il resto è un’offesa allo spirito antimafia, un’offesa ai siciliani. Ad un certo punto ho tirato fuori un neologismo, il camillerismo. Io non sto parlando di Camilleri come persona, Camilleri è stato un conversatore abilissimo, straordinario, raccontatore di aneddoti pazzeschi. Ma il camillerismo non è colpa sua, è quello che viene dall’adattamento dei suoi lavori, quelle cartoline turistiche sponsorizzate dall’assessorato alla cultura e allo spettacolo siciliano, è proprio una forma mentis. È una visione edulcorata, oleografica, cartolinesca della Sicilia e del mondo. Quindi diciamo che nel cinema c’è il camillerismo. Ovunque c’è il camillerismo”.

Ma come si può continuare a fare film se è tutto finito? “Ci sono persone, un tempo si diceva artisti ma qui nessuno è artista, diciamo registi, che hanno i meccanismi dell’autoillusione, che si illudono, si prendono in giro. Altri ne sono consapevoli e questo chiaramente li porta a pagare un prezzo. Questa visione così spietatamente autocritica e criticamente disperata continua ad esserci. Ma il cinema personalmente non mi dà più niente da un sacco di tempo. O sono io inadatto, e probabilmente è così, rispetto al cinema, o è il cinema che chiaramente ha qualcosa che non va. Le modalità e il linguaggio che ha ormai assunto, le modalità lavorative, i tempi di lavorazione e tutto quanto. Quindi è chiaro che io non ho un rapporto col cinema che possa essere lontanamente paragonabile a quello di tanti anni fa. Il cinema è morto. Un tempo si prendeva posizione nelle cose culturali, nel cinema, nei libri. Una vera posizione. Questo non c’è più. È solo una melassa generale. Quindi quando mi chiedono ‘Come ti trovi in questo mondo?’ Male. Perché non funziona più produttivamente. Perché il pubblico si assolve sempre o viene sempre assolto. Il pubblico è colpevole. Il pubblico non ha sempre ragione. Non c’è ragione per cui un film faccia 40 milioni di euro in Italia, perché quel film, con quel bianco e nero, è brutto. Eppure 40 milioni di persone dicono che è bello”.

E, parlando dei meccanismi produttivi, ha aggiunto: “È finita politicamente, non c’è un’autonomia di pensiero, se devi fare un film deve avere determinate garanzie, deve andare a finire nelle piattaforme. Sono tutti registi, sono tutti attori, sono tutti sceneggiatori, tutti scrittori, tutti creativi. E questo è legato potentemente a questa rivoluzione ineludibile della tecnologia. In trent’anni è cambiato tutto. La tecnologia produce miliardi di immagini. Raccontatemi come sarà il cinema tra dieci anni, esattamente con quali strumenti, dove saranno spinte le intelligenze artificiali, dove arriveranno e a cosa serviranno i registi, gli attori e gli sceneggiatori, visto che altrove scioperano”. “Questo è un sistema mafioso, e lo dico da siciliano che sa esattamente che cos’è la mafia. Intendo i meccanismi. Nessuno di voi può negare che in questo Paese sia stato adottato il metodo Sicilia. È un metodo mafioso quello che ti costringe, perché se non ci stai non lavori. E non ci sono più quegli spazi minimi per cui c’era anche una parte di paese, un’intellighenzia, c’era qualcuno produttivamente, culturalmente, che garantiva esistenza ad alcuni autori”.

Ma nonostante gli ostacoli produttivi e il pessimismo che lo contraddistinguono, Maresco continua ad avere un’immaginazione potente, visionaria, sempre attento a far emergere anche l’aspetto comico delle storie che racconta: “Per me il senso del comico è qualcosa di decisamente diverso da quello corrente. I miei punti di riferimento della comicità risalgono a Tati, Keaton… E mi viene in mente una cosa che mi disse Franco Scaldati a proposito di Franchi e Ingrassia e il numero della bilancia, che quella era la morte in azione, quell’irrigidimento di Franco Franchi era l’irrigidimento della morte. Lui partì da questo punto per dire che il comico è funereo, il comico è la morte. Ecco, tutto questo nella comicità del villaggio turistico imperante, non esiste. Per me quella non è comicità, non mi interessa. Il comico è un’altra cosa, ha a che fare con la morte, è una cosa estremamente seria, è una cosa che richiede un orecchio musicale, una competenza e una disperazione. È una visione del mondo netta, precisa, dinamitarda e anarchica. Il comico è solo contro tutti. E questo non è più possibile. Quando il comico diventa il mito del potente non ha più senso”.

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