#PesaroFF59 – “Mi è sempre rimasto il complesso dell’opera prima”. Incontro con Giuseppe Tornatore

Il regista, protagonista dell’Evento Speciale sul cinema italiano, ha parlato, tra le altre cose, del suo amore per il cinema in sala, del doppiaggio e del rapporto con la critica.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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“Mi è sempre sembrato un festival speciale e colto anche se non ci sono mai stato. Essere qui è come fare la prima comunione in ritardo”. Così Giuseppe Tornatore parla della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, dove in questa 59° edizione è protagonista dell’Evento Speciale sul Cinema Italiano. C’è stata la retrospettiva dei suoi film e la pubblicazione del volume Giuseppe Tornatore. Il cinema e i film, a cura di Pedro Armocida e Emiliano Morreale, che fa parte della collana Nuovocinema di Marsilio. Morreale sottolinea, nella sua carriera di quasi quarant’anni (da Il camorrista a Ennio), l’attenzione critica ondivaga nei suoi confronti e la sua totale estraneità rispetto al cinema italiano dove ha esplorato tutte le sfumature del giallo. Tra i critici che hanno collaborato al libro, c’è chi ha messo in evidenza che “dopo aver visto tutti i film insieme, il cinema di Tornatore è di una coerenza incredibile” (Giulio Sangiorgio) e “la sua capacità di stare attaccato alla storia del cinema italiano” (Sergio Toffetti). Mentre, per quanto riguarda i film, Paola Casella parla di Nuovo Cinema Paradiso come un film pieno di passione: per il cinema, la sala, la Sicilia è gli esseri umani. E che va raccontato attraverso i cinque sensi”.

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Ed è proprio il rapporto con le diverse chiavi di lettura dei suoi film che Tornatore evidenzia come “il bello del rapporto tra registi e critica è che ci sono degli spunti, delle riflessioni a cui non avevo pensato. Ho sempre creduto di aver fatto sempre un film diverso perché mi è rimasto il complesso dell’opera prima”. E aggiunge che “la scrittura continua all’infinito e continua anche quando il film è compiuto, come nel caso dell’analisi della critica cinematografica”. Ma l’estensione della sceneggiatura, secondo il cineasta, è anche nel doppiaggio. E a questo proposito, una delle caratteristiche del suo cinema è che gli attori internazionali vengono sempre doppiati. “È un rapporto con un cinema del passato che sta per sparire. Non abbiamo mai conosciuto, per esempio, un grande attore come Trintignant con la sua voce”.

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Si sofferma inoltre sul rapporto tra pellicola e digitale. “Forse un giorno si potrà trasferire il digitale su pellicola per regalargli una vita più lunga. Tranne alcuni film muti, molte immagini comunque siamo riusciti a conservarle. Da ragazzo ho fatto il proiezionista e il mio maestro mi disse che la qualità doveva essere perfetta sia quando si proietta un capolavoro sia un film orrendo. È questa la democrazia del cinema. In La corrispondenza ho giocato proprio sulla paura che anche il digitale non possa durare per sempre”.

Il suo rapporto con visione in sala resta fondamentale. “Ho una saletta piccola da 15 posti e ho il proiettore in pellicola e in digitale. Lo schermo è più affidabile, rispetto al monitor, per verificare se un raccordo di montaggio funziona oppure no. Qui ci lavoro, ma ci vedo anche dei film, recupero titoli del passato che non vedo da 30/40 anni oppure quelli che non ho mai visto. Recentemente ho recuperato Il ragazzo sul delfino di Jean Negulesco che non è certamente indimenticabile, ma Sophia Loren non è mai stata così bella come in questo film”. E aggiunge: “Al cinema ci vado sempre anche se meno rispetto a una volta”.

Tra i suoi progetti incompiuti c’è quello sull’assedio di Leningrado, ereditato da Sergio Leone: “Grimaldi mi voleva convincere a realizzarlo ma per me non sarebbe stato mai come l’avrebbe fatto Leone. Poi alla fine neanche io sono riuscito a farlo e allora forse sarebbe stato bellissimo come quello di Leone. I film che non sono mai stati fatti restano i più belli di tutti”. (e ride). E aggiunge: “Rossellini diceva. Basta fare bene la prima e l’ultima sequenza e il film è fatto. Le cose non stanno proprio così, ma comunque quando ci riusciamo abbiamo fatto un bel passo in avanti”.

Poi parla del rapporto del pubblico più giovane con il suo cinema: “Per loro Il mio film più amato non è Nuovo Cinema Paradiso ma La leggenda del pianista sull’Oceano e La sconosciuta. E su Berlusconi: “Quando cito i produttori di una certa generazione del passato, non mi viene in mente di citarlo perché non ho mai avuto un rapporto diretto con lui. Ma nei film che ho fatto con le sue società ho avuto una grande libertà”.

Infine nel libro c’è un capitolo con i suoi film preferiti. Ne doveva scegliere inizialmente dieci, ma poi il numero è aumentato. “Ne avrei voluto mettere ancora di più”. Si comincia con Gli argonauti e si chiude con Toro scatenato ma in mezzo ci sono anche Quarto potere, Effetto notte, Un dollaro d’onore, Una giornata particolare, La terra trema, La fiamma del peccato, Ladri di biciclette, Il posto delle fragole, 8 1/2 e Tempi moderni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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