Rescue Dawn – L’alba della libertà, di Werner Herzog
Presentato in anteprima europea, “Rescue dawn” è più film in uno. Un corpo a più strati comunicanti e sorprendentemente morbidi all'interno del cinema di Herzog, che ha girato nella giungla thailandese, in condizioni talvolta molto difficili
Con Rescue dawn Herzog porta, in un lungometraggio di produzione americana, interpretato da Christian Bale, la storia del pilota di origine tedesca e di passaporto Usa Dieter Dengler, che aveva già narrato nel documentario Little Dieter needs to fly nel 1997. Herzog torna, come spesso ha fatto, a un set, un personaggio, un'immagine sulla quale costruire altri set, personaggi, immagini. Dieter Dengler diventa Christian Bale e si usa quanto l'attore che fu il bambino de L'impero del sole (a proposito di guerra e prigionie e aerei…) sia capace di trasformazioni estreme. Pilota dell'aviazione statunitense, Dengler si recò a combattere in Vietnam nel 1965, fu catturato, dopo essere sopravvissuto a un attacco nemico durante una missione in volo, e imprigionato in un campo vietnamita in Laos. Da cui riuscì a fuggire, primo prigioniero americano a scampare alle atrocità del campo di Pathet Lao (insieme a un altro bianco, che non sopravvisse però ad altre torture e privazioni, quelle della giungla, e appare poi, fantasma che ha freddo, in un istante sublime accanto a Bale).
Rescue dawn è più film in uno. Un corpo a più strati comunicanti e sorprendentemente morbidi all'interno del cinema di Herzog, che ha girato nella giungla thailandese, in condizioni talvolta molto difficili. Sembra – nel breve prologo in volo e sulla portaerei americana dove i soldati osservano un filmato su come sopravvivere nella giungla in caso di incidenti e attacchi – un film classico d'aviazione di guerra. Per diventare, nella lunga parte nel campo di prigionia gestito da comunisti vietnamiti in Laos, un viaggio nell'attesa di una fuga, fatto di complicità (fino a istanti di comicità che affiorano dalla tragedia) e parole sussurrate, torture subite e preparazione rudimentale del piano per aggirare le guardie. Mentre la montagna-giungla che si trova appena oltre il campo osserva ogni minima mutazione dei rapporti e dei corpi sempre più stremati dalla fame. Una montagna-segno, come altrove nel cinema herzoghiano. E per diventare, il film, nell'ultima, magnifica parte, una lotta in primo piano tra l'uomo e la natura (con echi del cinema di John Boorman), con due corpi (e poi uno) in fuga e altrove imprigionati: su una zattera lungo un fiume, nella vegetazione spietata, mentre sanguisughe modificano ancor più quei corpi devastati. Fino all'epilogo, al piccolo aereo e agli elicotteri che salvano Dengler/Bale, e alla beffa giocata ai due federali che vorrebbero ulteriormente imprigionare nei loro interrogatori il corpo e la mente del pilota.
Finale decisamente curioso nel corpo del cinema herzoghiano, dove Bale è quasi "un John Wayne che torna a casa", osannato sulla portaerei ma anche sadicamente (dentro il "lieto fine") imprigionato in uno strato ulteriore da Herzog nel fermo-immagine, gesto filmico che può così assumere segno altro e liberare al tempo stesso quel corpo e quell'immagine verso altri voli. Dengler, dice la didascalia finale, divenne pilota civile e sopravvisse ad altri quattro incidenti aerei. Non ci si libera dalle proprie magnifiche e terribili ossessioni.