"Resident Evil: Afterlife 3D", di Paul W.S. Anderson
Paul W.S. Anderson crea uno spettacolo puro in 3D, avvolgendo lo spettatore e prendendo in prestito il linguaggio e l'estetica da videogame nella narrazione frammentata, movimenti di macchina e uso dei corpi, perfetti e indistruttibili. Tuttavia, nonostante gli sforzi registici, Resident Evil: Afterlife rimane intrappolato nelle maglie del videogioco, strizzando fin troppo l’occhio ai cultori del genere.
Dietro la macchina da presa torna Paul W. S. Anderson, regista del primo capitolo e sceneggiatore degli altri due, il quale prende in prestito la tecnologia di Avatar e realizza un film in cui il 3D esalta lo spettacolo puro. Perché di spettacolo puro si tratta: dalla prima inquadratura, tipicamente fumettistica nel soffermarsi sui dettagli, ai tanti cloni di Alice che invadono il quartier generale della Umbrella Corporation a Tokyo, ma soprattutto con proiettili, vetri, giganti mannaie e zombi che vengono catapultati al di fuori dello schermo, lo spettatore si ritrova avvolto in un ambiente larger than life. Anderson crea un mondo che non è quello reale, uno scenario post-apocalittico a cui i videogiochi ci hanno abituato e proprio da questi mutua il linguaggio con cui lo costruisce. La narrazione si fa frammentaria, tranches aperte e chiuse da dissolvenze in nero, episodi che si accumulano ed eventi che si dipanano in una struttura a livelli di crescente difficoltà. Gli attori si fanno vere macchine da combattimento, dei corpi flessibili all’inverosimile che si rigenerano con la velocità con cui la barra dell’energia si ricarica, perfetti in ogni circostanza, forse anche troppo. Ma è soprattutto nei ralenti, usati nei momenti di maggiore carica adrenalinica, e nei movimenti di macchina che lo schermo si fa interfaccia e lo spettatore crede di trovarsi ancora davanti alla sua console. E, forse, è proprio questo il problema. Nonostante gli sforzi registici, Resident Evil rimane intrappolato nelle maglie del videogioco, strizzando fin troppo l’occhio ai cultori del genere, fino al finale aperto, che ci lascia presagire un altro capitolo della saga. The game is not over, yet.