Salvatore Piscicelli, il cinema come anima della libertà

Il cinema del regista, così raro, resta a fare scuola, a fare eco e controcanto come quello che ancora ascoltiamo dalla Napoli che ha amato. Il nostro ricordo.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Quello che forte resta nella memoria è la camminata altera e di sfida di Rosa (Marina Suma) tra i palazzi gelidi che svettano nella periferia della metropoli. Nel 1981 arrivava Le occasioni di Rosa nelle sale italiane e quella camminata così divisiva segnava anche una linea d’ombra che attraversava il cinema italiano, che all’epoca, con i dovuti distinguo e ogni eventuale implicazione sociologica, si nutriva di ben poca cosa se non di quel riflusso fastidioso e vuoto che voleva diventare segnale di un progressivo degrado delle idee che tanto avrebbe pesato in futuro.
Il cinema di Salvatore Piscicelli, scomparso a 76 anni a Roma lo scorso 21 luglio, in quel periodo aveva segnato una linea di resistenza di un cinema che ostinatamente cercava nuove espressività, nuovi radicamenti e nuove storie in quella illuminazione fassbinderiana che aveva attraversato i decenni dei ’70 e degli ’80 con un cinema nel quale il registro del melodramma si piegava alle nuove sensibilità che serpeggiavano silenziose nei consessi sociali.

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È stato un critico cinematografico e per alcuni anni ha collaborato con la Mostra del Cinema di Pesaro, in quella accademia di studi e approfondimenti sul cinema che quel Festival ha saputo e ancora oggi sa offrire. Ma è stato anche un autore, un regista indipendente con tutto quello che costa questa scelta per chi vive di questi mestieri che contribuiscono, nonostante tutto ad implementare il patrimonio culturale italiano. Ma per queste ragioni è sempre rimasto un artista libero da legami, un regista che ha spesso autoprodotto i suoi film insieme a Carla Apuzzo e che ha utilizzato la libertà artistica per discostarsi da ogni stereotipo narrativo consueto, da ogni attesa napoletanità e in questo in un percorso assai simile a quello di Antonio Capuano.

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Il suo film d’esordio, Immacolata e Concetta – L’altra gelosia del 1980, è arrivato silenzioso e dirompente con la sua storia di un amore omosessuale irretita dentro le dinamiche della camorra. Un film che diventa melodramma atipico, in quel raggelarsi delle forme per conferire nitore al senso. Un film che restava intimamente sconvolgente rivoltoso e provocatorio, ma che conservava quell’aura di spontaneità e popolarità in quella periferia partenopea ancora divisa tra modernità industriale e arcaiche pratiche agricole. Un film che si faceva anticipatore di ogni sentire, che amplificava con la sua diversità la portata già dirompente del racconto. Era quella la forza della storia, di essere coltivata dentro un ambiente ostile, dentro i retaggi di un pensiero violento e lontano da ogni tolleranza e accettazione. Immacolata e Concetta è stata una sfida giocata sul terreno di una coraggiosa solitudine autoriale in quella corrente alternativa che all’epoca restava travolta dalla paccottiglia erotica che imperversava e quel film appariva come un inatteso punto di resistenza di un cinema che apriva e lavorava sulle contraddizioni del potere dalla camorra. Piscicelli così incideva sui tabù antichi delle organizzazioni malavitose ribaltando i concetti patriarcali sui quali si reggono ancora le relazioni familiari.

In questa misura, che non era posa alternativa, ma vera volontà artistica di scardinare preconcetti e pregiudizi in un aperto desiderio di mostrare con il cinema quella diversità prolifica e rigenerante, Salvatore Piscicelli due anni dopo sarebbe tornato in sala con il già citato Le occasioni di Rosa. In una Napoli inconsueta, segnata e raffigurata nella freddezza delle luci scelte da Renato Tafuri che esaltavano la distanza da qualsiasi stereotipo meridionale in quella indissolubile accoppiata di colore e calore.
Il suo cinema sarebbe stato questo, sarebbe stato dominato dai personaggi femminili che nell’arroganza della loro condizione ridefiniscono i rapporti di forza su più larga scala piuttosto che soltanto dentro le dinamiche familiari. Il registro privilegiato è sempre quello del melodramma, nelle cui trame amorose si aprono gli spazi narrativi che sanno restituire potenza al racconto. È quello che accade in Regina del 1987, racconto di una autodistruzione di una non famosa attrice che ricerca nel rapporto masochistico con un uomo più giovane la soluzione alla propria malinconia esiziale. I tratti del melodramma e una messa in scena rarefatta, secondo gli insegnamenti del rivoluzionario Fassbinder, tornano a definire la complessità del cinema del regista napoletano, da sempre affascinato dalla psicologia femminile costante attrattiva del proprio retroterra autoriale. La declinazione tragica della messa in scena resta confermata dalla scelta di utilizzare gli interni in una dimensione anche intima e autoreferenziale rispetto al carattere dei personaggi.

La sua dimensione puramente napoletana, con l’intenzione di coniugare un quasi fiabesco con la durezza malavitosa della Napoli dei minori, uscirà fuori nello sfortunato Baby gang del 1992. Un film che non ha circolato nelle sale e quasi dimenticato nella già non prolifica filmografia dell’autore. Ma questo è stato un po’ il destino del suo cinema più vicino ai nostri anni e pochi schermi hanno ospitato Il corpo dell’anima del 1999, film teso sul filo di un erotismo che sa mostrarsi leggero ma essenziale e così anche il successivo Quartetto del 2001 un “melodramma al femminile” come suggerisce il nostro Simone Emiliani su Cineforum n. 411. Con il suo ultimo film, Vita segreta di Maria Capasso del 2019, Piscicelli torna nella sua Napoli, dopo la divagazione romana per una città che restava il suo secondo riferimento. Ancora una volta la storia di una donna arrogante, di una mutazione genetica che maturava nel ventre di quella città multiforme.
Il cinema italiano si impoverisce con la scomparsa di Salvatore Piscicelli e il suo cinema, così raro. Quello che è riuscito a realizzare, resta a fare scuola, a fare eco e controcanto come quello che ancora ascoltiamo dalla Napoli che ha amato.

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