Sbatti il mostro in prima pagina, di Marco Bellocchio

Continua a conservare un’efficacia dimostrativa anche dopo oltre cinquant’anni dalla sua uscita. Con un demoniaco e cinico Gian Maria Volonté. In versione restaurata dalla Cineteca di Bologna.

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Riguardando Sbatti il mostro in prima pagina, quarto lungometraggio di Marco Bellocchio che ritorna ora in sala nella versione restaurata in 4K dalla Cineteca di Bologna, ci accorgiamo che il tempo non è passato invano. Ci accorgiamo che, sotto il cielo del nostro Paese qualcosa è cambiato. Il lavoro ai fianchi di una massa critica sempre più cosciente e i manifesti interventi di una opinione pubblica sempre più sensibile ai temi dell’informazione, frutto di un lungo lavoro che ha avuto lo scopo di eliminare le incrostazioni di un potere consolidato e protetto da una rete di connivenze altrettanto coriacea, non sono stati inutili.
Negli anni Settanta, si parlava di manipolazione dell’informazione e spettava alla cosiddetta controinformazione reagire con una capillare rete di diffusione di informazioni differenti, garanzia di una certa verità, che era tanto capillare da trovarsi spesso in una strada senza uscita. Nel senso che non riusciva a raggiungere nessuno o al più quelli già sensibili ai temi.
Sbatti il mostro in prima pagina, interviene proprio su questo nodo dell’informazione legato ai centri di potere occulti dominati da personaggi tanto misteriosi, quanto potenzialmente pericolosi. Avvalendosi della collaborazione di Goffredo Fofi, il film di Marco Bellocchio si ancora immediatamente ad una realtà riconoscibile e quindi evita ogni ipocrita mascheramento metaforico. Un filmato d’epoca costituisce l’incipit.

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In una Milano ombrosa, un giovane e determinato Ignazio La Russa, con alle spalle il Castello Sforzesco, arringa il popolo della variegata destra del tempo contro la minaccia del comunismo. A seguire i funerali di Giangiacomo Feltrinelli e gli slogan che promettevano vendetta per la sua morte. Le immagini di guerriglia urbana che seguono si chiudono con la transizione dalla cronaca alla realtà filmica e con l’assalto alla redazione di Il Giornale, che non ha nulla a che vedere con la testata fondata da Indro Montanelli due anni dopo l’uscita del film. Nella redazione senza una donna, di questo giornale reazionario quanto basta (in linea con un potere che provava a tenere buone le anime delle opposte tendenze), lavora Giancarlo Bizanti, interpretato da  un demoniaco e cinico Gian Maria Volontè, che difende i valori di una borghesia (termine in voga ai tempi) perbenista, ipocrita e soprattutto mediocre. Il suo odio verso ogni contestazione e soprattutto nei confronti dei comunisti potrà trovare adeguato sfogo quando l’omicidio di una studentessa di buona famiglia scuote gli animi dell’opinione pubblica. La possibilità che l’assassino sia Mario, un rivoluzionario comunista, lo spinge a fabbricare il colpevole con la connivenza della Polizia. L’astuto Bizanti strumentalizza una solitaria anarchica, Rita Zigai (Laura Betti), perdutamente innamorata del giovane Mario. Il colpevole è pronto per l’uso e tutto serve a seppellire la verità che diventa un fatto personale che resterà nella gestione esclusiva dello sprezzante giornalista che avrà raggiunto lo scopo di demonizzare la protesta.

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Il film di Bellocchio continua a conservare un’efficacia dimostrativa anche dopo oltre cinquant’anni dalla sua uscita. Discostandosi da un cinema prettamente cronachistico, sulla scia dei poliziotteschi, ne conserva un impianto assai vicino, soprattutto in quegli sguardi sulla città che resta materia di un interessante approfondimento. Bellocchio non ha mai, neppure in questo film che rasenta il genere, avuto l’intenzione di realizzare un cinema di consumo immediato. Sbatti il mostro in prima pagina, nonostante gli anni, costituisce un’utile riflessione sull’utilizzo della stampa in rapporto ad ogni reale o presunta verità. All’epoca, quando l’informazione era detenuta in poche e controllate mani, era molto più semplice tacere la verità e fornire una compiacente versione dei fatti o peggio determinarne il corso. Oggi, con l’avvento della rete e di un giornalismo sicuramente meno compiacente, tutto è mutato. L’emergere della verità è più frequente, ma resta comunque il problema. La rete infatti non ci mette del tutto al riparo da una mistificazione del vero e da una sua artificiosa costruzione.
Ecco quindi l’attualità del film di Bellocchio al quale non nuoce affatto la contestualizzazione (che siamo costretti a chiamare) d’epoca. Un film di cui va apprezzata una vitalità sotterranea, che trova la sua origine nella composta e determinata cattiveria di Bizanti alquale Gian Maria Volontè attribuisce la stessa arroganza del Capo della Squadra Omicidi In Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Il percorso artistico dell’attore milanese è sempre sembrato un contrappasso rispetto a quella che fu la sua vita. Una sintesi è qui rappresentata dall’acido monologo, consumato in salotto davanti alla TV, in cui il glaciale Bizanti sbatte in faccia alla moglie (Carla Tatò) il disprezzo che nutre per lei, così imperdonabilmente ingenua nel credere a tutto quello che egli deve sostenere nel suo lavoro, senza riuscire a scorgere la verità che sta dietro il falso che deve essere raccontato. Un momento che coglie un rigurgito di rabbiosa verità che assomiglia a quella dell’assassino che fa di tutto per essere scoperto. Con Sbatti il mostro in prima pagina il cinema di Marco Bellocchio cominciava così ad occuparsi della storia con un taglio inconsueto, così come ancora oggi continua a fare.

Regia: Marco Bellocchio
Interpreti: Gian Maria Volonté, Fabio Garriba, Carla Tatò, Jacques Herlin, John Steiner, Michel Bardinet, Jean Rougeul, Laura Betti, Corrado Solari, Marco Bellocchio, Gianni Solaro, Gérard Boucaron, Gisella Burinato, Enrico Di Marco
Distribuzione: 01 Distribution. In collaborazione con Minerva Pictures
Durata: 93′
Origine: Italia, 1972

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
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