"Schultze vuole suonare il Blues", di Michael Schorr

Atmosfere inusuali per il cinema tedesco contemporaneo. Alla "cinica " espressività nordica, risponde il fluire morbido di una scrittura dalle pieghe più propriamente minimaliste. Aperture ampie di quadro e sconfinamenti di campo che trascendono la pura documentazione e attraversano la frontiera tra realtà e fiction.

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Esordio al lungometraggio (premio alla regia nella sezione "Controcorrente" di Venezia) per Michael Schorr, dopo essersi affermato come documentarista nel suo Paese. Schultze è uno dei tanti prepensionati del periodo buio della recessione economica che non ha certo risparmiato la Germania, gigante economico che sembrava inossidabile. Lavorava in miniera e come buon'uscita riceve una pietra con lucetta incorporata. Adesso ha più tempo da dedicare a se stesso. Insieme ai due migliori amici, trascorre le giornate a pescare e a bere birra nell'unico bar della piccola cittadina dell'est. Un giorno tira giù dall'armadio la fisarmonica e riprende a suonare. Per caso alla radio danno musiche del sud degli Stati Uniti: il creolo "zydeco", contaminato di blues. L'omone è affascinato, stuzzicato: è l'occasione per deragliare. Musica nera nel cuore della Germania, non si era mai sentita. La linea melodica reiterata cadenza il fluire morbido dalle pieghe più propriamente minimaliste. Aperture ampie di quadro e sconfinamenti di campo in cui l'ironia e una sorprendente freschezza umoristica fanno da contrappunto. Schultze è l'uomo privo di sovrastrutture (di muri), che attraversa gli eventi e da essi riceve il massimo. Parte per la Lousiana per perdersi nel sound. Noleggia una barca, risale il fiume e trova un'America non convenzionale: indigeni che parlano francese, paludi e feste della salsiccia. È coinvolto in una battuta di caccia all'anatra: il pennuto cade ai suoi piedi. Cena con falò. Finisce il carburante. Suonatori d'ottoni cechi scambiano la sua richiesta di petrolio per un giro di vodka. Atmosfere atipiche per il cinema tedesco contemporaneo. Alla cinica espressività nordica risponde il leggero movimento di pale eoliche che trascendono la pura documentazione e attraversano la frontiera tra realtà e fiction. Divagazione fantastica sulla rappresentazione della realtà e non semplice documentazione dell'esistente. Cinema "non problematico" o criptato nello stile alto e aristocratico degli anni Settanta, ma che trasfigura componenti metacinematografiche, melodrammatiche, d'intrattenimento e di riflessione sulla quotidianità di un Paese ora più corpu(lento). Road-movie della lentezza (vedi Una storia vera di Linch): la chiatta, come il tagliaerbe, si appropria dello spazio e del tempo restituendo quelle distanze che il mondo attuale contiene e non mantiene.     


 

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Titolo originale: Schultze gets the Blues


Regia: Michael Schorr


Sceneggiatura: Michael Schorr


Fotografia: Axel Schneppat


Montaggio: Tina Hillann


Musiche: Thomas Wittenbecher


Scenografia: Natascha E. Tagwerk


Costumi: Constanze Hagedorn


Interpreti: Horst Krause (Schultze), Harald Warmbrunn (Jürgen), Karl-Fred Müller (Manfred), Ursula Schucht (Moglie di Jürgen), Hannelore Schubert (Moglie di Manfred), Wolfgang Boos (Portiere), Loni Frank (Madre di Schultze)


Produzione: Filmkombinat, ZDF-Das Kleine Fernsehspeil


Distribuzione: Lady Film


Durata: 110'


Origine: Germania, 2003

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