Sicilia Queer Festival: i vincitori della quattordicesima edizione

El polvo di Nicolas Torchinsky, Boléro di Nans Laborde-Jourdaà, Le belle estati di Mauro Santini, Honeymoon di Alkis Papastathopoulos, ecco tutti i vincitori della quattordicesima edizione.

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La quattordicesima edizione del Sicilia Queer Festival si è conclusa il 31 maggio con la proclamazione dei vincitori.
La giuria internazionale, composta dall’ex direttore della Berlinale e di Locarno Carlo Chatrian, dalle registe Anna Hints, Marie Luise Lehner, dall’attore Pascal Cervo e dalla critica cinematografica Jara Yáñez, ha assegnato il premio per il miglior lungometraggio della sezione Nuove Visioni a El polvo di Nicolás Torchinsky, «Per tutto ciò che di spettacolare, di misterioso e di romanzesco si nasconde dietro una moneta avvolta in un pezzo di carta, una foto ingiallita, nella polvere depositata sopra un divano… Per tutto ciò che questi dettagli intimi rivelano di una vita… Ma anche per tutto ciò che queste voci, quelle della famiglia, dei colleghi, degli amici svelano senza volere sulla difficoltà di essere visti, conosciuti, riconosciuti per quello che si è veramente. È ciò che compone il film che ci ha emozionato. Il tentativo poetico di realizzare un ritratto impossibile». Il film mostra ciò che resta, gli oggetti intimi, di Julia Romero, transgender argentina morta di AIDS, nonché zia del regista.

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La stessa giuria ha premiato Boléro di Nans Laborde-Jourdaà come miglior cortometraggio nella sezione Queer Short, «Per la sua bella idea di riparazione attraverso la danza che si trasforma a poco a poco in rivoluzione e apre la strada a una certa possibilità di cambiamento. E perché grazie a una regia attenta e a una recitazione entusiasmante, il film rivela progressivamente la sua forza sovversiva: opporre a ogni forma di violenza e di aggressione la potenza impercettibile e delicata del corpo». Il cortometraggio racconta la storia di Fran, tornato nella sua città natale per visitare la madre. Seguendo il ritmo del Boléro di Ravel, questo viaggio attraverso la memoria e il desiderio lo condurrà ad un apice di gioia.

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Menzione speciale a Honeymoon di Alkis Papastathopoulos, «Perché sono proprio loro. Per quello che dicono, ma anche e soprattutto per quello che esprimono al di là delle parole: solidarietà, amore, profonda amicizia. E perché danno voce a tutte e tutti coloro che non ce l’hanno». Il cortometraggio racconta il viaggio di Sandra e Fay. Lasciando la Grecia, un’aggressione transfobica le lascia bloccate nel bel mezzo del nulla. Sandra riuscirà così ad aprirsi con Fay.

Per quanto riguarda i premi Circuito Cinema, con una giuria composta da Morena Faverin (Lago Film Fest); Maria Vittoria Pellecchia (Laceno d’Oro International Film Festival) e Alessandro Rais (Efebo d’Oro Film Festival), il premio al miglior lungometraggio della sezione Nuove Visioni è stato assegnato a Le belle estati di Mauro Santini, «Per la sorprendente fluidità ed intensità con la quale studenti e studentesse si sono appropriati dei racconti pavesiani restituendoli con una nuova luce attraverso il proprio sguardo e le proprie emozioni; per la delicatezza antispettacolare con la quale l’occhio del regista sa osservare donne e uomini di un futuro prossimo impegnati nella ricerca del sé; per l’incanto del gioco incessante tra messa in scena e svelamento della sua fragilità».
Il film mostra studenti e studentesse di un liceo artistico appropriarsi dei personaggi di due romanzi di Pavese, La bella estate e Il diavolo sulle colline; le voci si sovrappongono e si mescolano.

Il premio Circuito Cinema al miglior cortometraggio è andato, ex-aequo a
Grandmamauntsistercat di Zuza Banasińska, «Per lo straordinario e sorprendente uso dell’archivio capace di trasformare filmati didattici e propagandistici della Polonia comunista in un tenero film-saggio che risuona universalmente proponendo una riflessione stratificata sulle relazioni e sull’identità lacerando e ribaltando con potenza la distorsione patriarcale insita nella società di ieri e oggi» e a Slimane di Carlos Pereira,
«Un’opera fortemente minimalista che dimostra come l’uso sapiente della forma possa raccontare con semplicità e potenza la miscela di gioia e dolore che permane l’esistenza ricordandoci che la società è una prigione, ma a cielo aperto».
Se in Grandmamauntsistercat la figura letteraria di Baba Jaga viene reimmaginata come una “dea preistorica dei tempi del matriarcato”, utilizzando filmati trovati nell’archivio del Polish Educational Film Studio; in Slimane, un futuro non troppo lontano inquadra l’uscita di prigione di Omar, in una Germania transfobica e minacciosa.

Il premio Miglior cortometraggio Coordinamento Palermo Pride è stato assegnato a Honeymoon di Alkis Papastathopoulos, «Per la tematica della transfobia nella Grecia dei giorni nostri – ricordiamo, Paese di un’Unione Europea alla vigilia di elezioni in cui la minaccia dell’avanzata delle destre neofasciste e transfobiche è concreta – raccontata tramite la bella e singolare storia di amore/amicizia fra le due protagoniste ed il loro viaggio di addio, che poi diventa di fuga ma anche di ribellione e di speranza. Un road movie essenziale, ben sceneggiato, recitato e girato, che parla in modo comprensibile di amore queer e di solidarietà femminile; una storia transfemminista che celebra il diritto di lottare e di opporsi alla violenza crescente contro le persone trans e che denuncia la transfobia e la violenza presenti anche nelle istituzioni nell’Europa e nella Grecia contemporanea, ispirato alla storia dell’attivista queer Zak Kostopoulos, ucciso nel 2018 da un gruppo di uomini e dalle forze di polizia».

E la Menzione Speciale Coordinamento Palermo Pride è andata a Slimane di Carlos Pereira, «Un cortometraggio toccante che affronta temi attuali come l’identità e le lotte delle comunità emarginate. Il suo stile visivo è evocativo, con una fotografia essenziale ma ricca di significato. Il ritmo lento del film non lascia spazio a distrazioni, accompagnando delicatamente lo spettatore verso la riflessione. La scena finale completa magistralmente la narrazione emotiva del film, che è intimamente intrecciata con la comunità afroamericana segregata e discriminata della Detroit del declino post-industriale dove la musica techno ha origine. Allo stesso tempo, richiama la Berlino della DDR, dove la comunità “outsider” trova nella scena musicale underground uno spazio dove esplorare l’identità e la libertà all’interno di uno spazio condiviso. In conclusione, Slimane è un cortometraggio ben realizzato che lo rende un’opera ricca di spunti di riflessione».

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