SPECIALE "The New World": La perfezione dei riflessi

Con lo sguardo affondato in una stupefacente anamnesi platonica, dove la forza degli elementi naturali tiene a battesimo una seconda nascita, approdiamo come incoscienti naufraghi nel nuovo mondo di Terrence Malick.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Chiusi in una ciclicità senza tempo che corrompe con torbidi desideri e inconsce paure il nostro sguardo siamo in balia delle immagini incorporee e della loro perfida trasparenza. Occhi che vagano nel labirinto delle forme di un cinema troppo spesso fantasma di se stesso. Pavide anime alla disperata ricerca di un giaciglio su cui distendere i propri sentimenti. Ecco che all'improvviso troviamo l'approdo a cui affidarci, sicuri di non riconoscere le asperità e i conflitti ma bisognosi di arrenderci, di colmare con la purezza dei fotogrammi in movimento il profondo abisso dello sguardo. Il film di Malick è questo spazio. Altrove assoluto dove gli elementi naturali si mostrano nella loro natura fatta di materia e spirito accogliendo e contenendo le storie umane. Il nuovo mondo del regista americano si distende lungo le sponde del fiume, attraverso le alte foreste, negli echi infiniti di una luce naturale che abbaglia e risplende. Universo naturale in attesa di essere pervaso dal fluido vitale della nostra conoscenza, un tempo lontano quasi primordiale e atavica energia alla ricerca dei limiti della propria esistenza. Così ecco l'acqua ad aprire le prime immagini del nuovo mondo, e l'azzurro del cielo tra gli l'alberi a chiuderlo. Dove scorre il fiume, sorgente di vita e silente compagno che annuncia l'arrivo degli abitanti delle terre lontane, e dove si rifugia l'anima alla fine del suo viaggio terreno. In mezzo tra i due elementi che contengono tutto il film la sensualità dell'abbraccio universale. Malick filma tutto con uno sguardo affondato in una stupefacente anamnesi platonica, dove la forza degli elementi naturali tiene a battesimo una seconda nascita. Il capitano Smith abbandonata la madre patria potrà rinascere tra coloro che vivono in simbiosi con madre natura ma non potrà mai tagliare radicalmente la protesi che ne compensa le mutilazioni dello spirito inferte con tagliente durezza dal proprio mondo. Il fiume accoglie e nutre, si lascia solcare e aspetta, cosciente che i propri figli vi faranno ritorno, ma come del resto i sentimenti, i legami, gli affetti, non può fermare il proprio corso e tanto meno coloro che hanno deciso di rimettersi in viaggio.

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Cinema, quello del regista texano, in continuo divenire sprofondato nel passato ma capace di aprire squarci profondi sulla nostra esistenza. Dove un semplice raggio di luce che buca il buio di una fitta vegetazione o i gesti lenti e armoniosi degli indigeni diventano il segno di un riconoscersi, di sentire quel legame trascendentale tra noi stessi e ciò che ci sovrasta e illumina. Pedine immobili di un gioco al massacro, circondati dalla storia universale che altro non è che un'alternanza di devastazioni e di lifting che ne spianano le immense cicatrici, gli uomini del (vecchio) mondo sono sordi al linguaggio cromatico ed esistenziale del nuovo mondo. Accecati dall'oro e dalla terra non fanno altro che marcire nel loro stesso tanfo di sangue, sprezzante odore di morte che chi sa vivere in pacifica armonia non può certo sopportare.

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