Svaniti nella notte, di Renato De Maria

De Maria insegue una riscrittura mediterranea di un thriller à la Hitchock ma quello che trova è un film freddo, inerte, svogliato, ripiegato acriticamente sull’algoritmo

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Renato De Maria torna per la terza volta su Netflix e per certi versi svela le carte di questa seconda parte del suo cinema, sempre più attenta alla componente di genere ma anche sempre più controllabile, leggibile, archiviabile nell’algoritmo. E al terzo film il regista non può che cercare l’affondo global tipico proprio del nuovo ecosistema “da piattaforma”, che è poi anche l’ultimo tratto essenziale che è mancato finora alle sue immagini sempre più sintetiche.

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Ecco allora che in questo Svaniti nella notte De Maria ritrova Riccardo Scamarcio de Lo spietato, protagonista insieme ad Annabelle Wallis di una sorta di riscrittura mediterranea di un noir hitchockiano su un avvocato che, nel bel mezzo del divorzio dalla moglie, deve far fronte alla scomparsa dei due figli. Convinto che tutto faccia parte di una ritorsione per alcuni debiti che l’uomo ha con dei boss locali, il protagonista si farà convincere dall’ex moglie a riprendere i contatti con un trafficante di droga da cui nel tempo si era allontanato ma che pare essere l’unico a poterlo aiutare in un momento così delicato. Il piano, ovviamente, avrà esiti imprevisti

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Malgrado le premesse, tuttavia, De Maria continua a fare fatica a gestire con i ritmi dell’avventura, del thriller puro, un po’ come già accadeva in Rapiniamo il Duce.

Svaniti nella notte scalpita, fa sentire la sua voce davvero poche volte, forse solo nel prologo e in un momento in cui, nella seconda parte del racconto Annabelle Wallis, appannata per il resto del tempo, prende finalmente il centro del palco e prova a incarnare i tratti della femme fatale. Per il resto, affastella intuizioni che sembrano racchiudere mondi ma in realtà rimane costantemente sulla superficie delle cose, prova a costruire intere, promettenti sottotrame dall’alto potenziale (dal rapporto tra il protagonista e l’amico trafficante abbandonato perché non conforme alla vita borghese che l’uomo si è scelto passando, ovviamente, per certe linee da paranoia movie, quasi alla Brad Anderson che emergono nella seconda parte) ma se ne disinteressa quasi subito, o forse dà per scontato che il tempo impiegato a raccontare quegli spunti sia abbastanza per esaurirlo.

E a fare maggiormente le spese di questo passo così incerto è soprattutto il rapporto tra i due protagonisti, che manca di struttura, di “passato”, di uno sfondo su cui far risaltare le loro dinamiche. Tutto viene piuttosto lasciato in primo piano, ma così i due personaggi ed il loro agire non possono che appiattirsi, forzarsi ed è quasi impossibile empatizzare anche solo per uno dei due.

Il film non può dunque che reggere fino ad un certo punto e nel momento in cui il racconto dovrebbe aumentare di giri finisce piuttosto per avvilupparsi, procedere per tappe obbligate, provare a convincersi (e a convincerci) di essere un thriller avendo però troppa paura di sporcarsi le mani, di parlare la lingua dell’attesa, dell’incertezza, della suspense pura. Piuttosto Svaniti nella notte si limita a seguire il protagonista in una provincia pugliese raccontata con le classiche scelte visive “turistiche” mentre è impegnato a risolvere un mistero costruito pigramente, in cui nessuno crede davvero ma che forse fa ciò che serve al film: arrivare alla fine senza scossoni, mantenersi leggibile, accattivante per un certo tipo di pubblico, giocare a rifare un cinema che vuole dirsi “pop” in un modo tutto suo, forse discutibile. Anche se sottotraccia rimane inerte, freddo. Anche se, forse, di cinema propriamente detto, qui rimane ben poco.

 

Regia: Renato De Maria
Interpreti: Riccardo Scamarcio, Annabelle Wallis, Massimiliano Gallo, Gaia Coletti, Lorenzo Ferrante, Elena Riccardi, Bruno Ricci, Gerhard Koloneci
Distribuzione: Netflix
Durata: 90′
Origine: Italia, 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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