Terra Nova. Il Paese delle ombre lunghe, di Lorenzo Pallotta

Un viaggio in Antartide nello spazio e nel tempo, per sottolineare la centralità delle immagini siano esse d’archivio o ancora da girare. Presentato al Trento Film Festival e all’Unarchive di Roma

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Nel 1988 una nave cerca di raggiungere la Baia di Terra Nova, facendosi strada tra i ghiacci dell’Antartide. Trentacinque anni dopo la Laura Bossi, rompighiaccio italiana, ripercorre la stessa rotta; stavolta superando il precedente primato: raggiungere il punto più a sud del pianeta. Attraverso il montaggio dei materiali d’archivio e alcune riprese frutto della spedizione successiva, Terra Nova riporta il documentario al grado zero delle immagini tramite un’eccelsa operazione di selezione dall’archivio e scelte linguistiche. Inoltre l’intreccio tra passato e presente scandisce una precisa esigenza del contemporaneo riguardo le immagini e la conseguente fruibilità. Nel film di Lorenzo Pallotta il confronto col nulla glaciale diventa una sfida alla narrabilità degli eventi, come una ripartenza a margine del Pianeta Terra.

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E sembra davvero una dislocazione spazio-temporale questa di Terra Nova, in grado di rimettere in discussione il nostro livello di lettura delle immagini e dei luoghi che pensiamo di saper riconoscere. La nave, apparato monumentale e unico pensiero fisso di chi la abita, avanza nel mare ricoperto di ghiaccio da infrangere né più né meno come farebbe una sonda spaziale. Le immagini accompagnate dalle eccellenti musiche di Chiara Lee e Freddie Murphy sono come visioni stralunate di viaggiatori nello spazio intenti a portare la razza umana laddove nessuno mai prima d’ora è arrivato. Nell’opera di Pallotta le influenze e le ispirazioni sembrano essere molteplici: a partire dal clima herzorghiano esperienziale del viaggio e del confronto perpetuo Uomo/Natura, passando poi per il concept antartico de La cosa, sino addirittura a una deriva strutturale (a riprova del sentore fantascientifico di cui sopra) che sembra citare le opere di Isaac Asimov, con questa osservazione para-scientifica degli eventi. Per dirla alla maniera dei CCCP, “E trema e vomita la terra/ Si capovolge il cielo con le stelle/ E non c’è modo di fuggire/ E non c’è modo di fuggire, mai, mai!

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A riattivare la riflessione sulla cattura delle immagini in quanto unica operazione rimasta per la certificazione delle cose che accadono, ci pensa lo stupendo finale di Terra Nova. Questo si manifesta attraverso un punto di vista inedito del racconto linguistico messo in gioco fino a quel momento, ovvero con la prima persona singolare (che oggi chiameremmo POV, point of view). L’esplorazione dunque si avvicina fortissimamente allo spettatore, che viene catturato dall’infrazione dei confini vigenti fino a quel momento e ai successivi momenti di festa, senza freni imposti dall’osservazione che si trasforma in inclusione. E l’intuizione di Lorenzo Pallotta è un manifesto di una lucidità rara, in grado di applicare una dissezione degli oggetti e del Mondo soprattutto in relazione ai confini e alle possibilità di movimento concesse; anche laddove la manovra è impossibile. L’immobilità del mondo circostante la Laura Bossi è anche un segnale di infinita tristezza, che però non assorbe mai completamente la visione ma che anzi, viene superata da un senso di coesione attraverso spiragli di umanità: il giubilo dei comandanti quando si concedono una foto in ricordo di quel giorno. E l’immagine giunge a certificare il posto e l’ora, oltre che un’umanità ancora viva e pulsante.

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