#TFF41 – È già domani

Il festival si è svolto con la nomina del nuovo direttore artistico fatta tre mesi e mezzo prima. Un’anomalia non invidiabile che speriamo resti solo una brutta eccezione.

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Dopo la 41a edizione conclusasi il 2 dicembre scorso, il Torino Film Festival volta pagina. Anzi, in realtà l’ha voltata il 12 luglio scorso quando è stato annunciato Giulio Base come nuovo direttore artistico. In ogni caso, in questi circa dieci giorni sembrava che nulla fosse successo. C’era infatti l’illusione di un programma a lungo termine e di una continuità di un’identità ben definita del festival diretto da Steve Della Casa. In questo articolo non si sta a valutare la qualità di questa edizione, che qui è comunque apparsa più che soddisfacente, e che è in pacifico e parziale disaccordo con il pezzo scritto da Tonino De Pace, a dimostrazione della pluralità di visioni, idee differenti e confronti che ci sono all’interno di Sentieri Selvaggi. Si, inevitabilmente tranne nei due anni della pandemia, sotto la direzione di Stefano Francia, dove il Torino Film Festival ha dovuto resistere a tutte le difficoltà e le restrizioni di quasi tutti gli altri nel resto del mondo, le edizioni 2022 e 2023 sono apparse come un riuscito ritorno al passato, in linea con la sua tradizione negli anni migliori ma anche con uno sguardo verso il futuro. I dati finali del pubblico evidenziano poi una crescita vista anche nelle frequenti code davanti alle sale, soprattutto la sera.

Si sapeva ovviamente che Steve Della Casa avrebbe diretto solo due edizioni. Ma la cosa sorprendente non è stata tanto la nomina del nuovo direttore artistico, al quale comunque auguriamo buon lavoro, ma i tempi completamente tutti sballati. Si certo prima c’è stato un bando con una rosa ristretta di nomi al rush finale tra i candidati (oltre Giulio Base, anche Giulio Sangiorgio, Pedro Armocida, Francesco Di Pace, Carlo Griseri, Francesco Ranieri Martinotti, Manlio Gomarasca e Giancarlo Marzano). E poi c’è stato il comunicato ufficiale dal sito del Museo del Cinema di Torino che citiamo testualmente: “La scelta del Comitato di Gestione è maturata valutando molto positivamente il progetto presentato, oltre alle caratteristiche del candidato che presenta profonda conoscenza del cinema e della sua storia, spiccato gusto sia per il cinema cinephile che per il cinema popolare, ottimi rapporti con l’industria nazionale e internazionale nonché elevate competenze di gestione e di comunicazione. Giulio Base verrà ufficialmente presentato alla fine del 41° Torino Film Festival, quale ideale passaggio di testimone tra lui e l’attuale direttore Steve Dalla Casa e da quel momento assumerà ufficialmente il ruolo di direttore”. Quindi ok, il nuovo direttore sarà presentato in questi giorni proprio quando è appena finito il Torino Film Festival n. 41. Ma non doveva essere solo presentato ma anche annunciato in questi giorni e non invece tre mesi e mezzo prima l’inizio di questa edizione.

Che significa questo? Che Steve Della Casa e il suo staff, nel pieno dell’organizzazione del festival dove in quei mesi (da luglio in poi) si decidono l’80% delle cose – dal programma, i film scelti, gli ospiti – hanno lavorato già da sfiduciati. Un po’ è quello che è capitato a Luciano Spalletti al secondo anno sulla panchina dell’Inter quando la società a febbraio aveva già scelto il suo successore (Antonio Conte) ma i dirigenti nerazzurri gli hanno chiesto comunque la qualificazione in Champions League. Un po’ è quello che è accaduto al gruppo di lavoro uscente che, per chi scrive, si è qualificato alla Champions League con largo anticipo. In più, i meno attenti, già anche da alcuni discorsi fatti alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, pensavano che Giulio Base sarebbe già stato direttore da questa edizione. Ovvio, è un equivoco grossolano perché il comunicato del Museo è stato chiaro. Ma è stata anche una confusione comprensibile. Perché di norma, i nuovi direttori artistici si annunciano quando un festival finisce, non prima che comincia. È già domani. Anzi, è già stato subito domani già prima del presente. Ed è un’anomalia non invidiabile e, speriamo soprattutto, che non diventi un esempio nella gestione degli altri festival di cinema ma che resti soltanto una brutta eccezione. Davvero brutta.

 

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