The Battle for Laikipia, di Daphne Matziaraki e Peter Murimi

Vincitore del Premio Asja al miglior documentario al 27° Festival CinemAmbiente, il film di produzione greco-statunitense è inabile a mantenere le promesse di ritmo, risultando incoerente e ridondante

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Nell’agosto del 2017 hanno luogo le elezioni più violente mai viste in Kenya dall’inizio del nuovo millennio. A causa di una siccità dalla durata mai vista prima, i pastori semi-nomadi della zona denominata Laikipia introducono di nascosto il bestiame nelle terre di proprietà di famiglie euro-discendenti alla ricerca di acqua e erba necessarie alla loro sopravvivenza. Alcuni proprietari reagiscono minacciando o uccidendo animali e uomini. Ciò porta all’inasprimento di un conflitto civile di stampo etnico post-coloniale fino a questo momento sopito. A far precipitare la situazione ci pensa la campagna elettorale del parlamentare nero Matthew Lempurkel, il quale in più occasioni istiga i connazionali ad azioni illegali nei confronti di quegli stessi proprietari perché restituiscano le terre alle tribù che ne avrebbero diritto. Ma è pur vero che anche quei bianchi, lì da quattro generazioni, non hanno altra casa che il Kenya.

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Come raccontare questa delicata situazione? Il documentario The Battle for Laikipia di Daphne Matziaraki e Peter Murimi, greca laureata a Berkeley e nominata all’Oscar la prima, keniano esperto autore di reportage il secondo, ci prova mettendosi al servizio della cronaca degli eventi, senza (quasi) mai prendere una netta posizione. Il film si apre con una scena estremamente interessante: un uomo bianco di mezz’età sta guidando un gruppo di turisti durante un Safari quando si imbatte in un gruppo di pastori che stanno facendo pascolare i loro greggi nella sua proprietà e per cacciarli minaccia di chiamare la polizia e afferma di averli maledetti. Un momento che è piena sintesi di una condizione complessa su un piano culturale ma anche politico. Da questo punto in poi si alternano storie provenienti dalle due parti della diatriba, tutte ugualmente attenzionate e rispettate. Interessanti pure gli inserti che fanno uso del materiale di archivio, poiché capaci di colmare alcune lacune che lo spettatore inevitabilmente possiede nei riguardi del contesto storico.

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In particolare, si rivela necessario aprire il percorso sottolineando che il Paese è indipendente da sessant’anni, ma disseminato di proprietà ritenute dall’opinione pubblica “straniere”. Allora, ecco che il film si struttura in tre atti distinti come se fossero quelli di un thriller la cui parte centrale, quella legata agli assalti delle magioni, risulta particolarmente tesa. Matziaraki e Murimi concentrano i propri sforzi nell’evidenziare come, al netto della violenza, nessuno abbia totalmente ragione o totalmente torto, se non altro perché, quando erediti la complessità, l’unica cosa che puoi fare è trovare un modo per renderla vivibile. A maggior ragione se si ha a cuore l’ecosistema in cui si sta cercando di coesistere. The Battle of Laikipia risulta però un’operazione riuscita solamente a metà perché inabile a mantenere le promesse di ritmo, incoerente o incerto su determinate scelte (perché la voce narrante del pastore Simeon se la sua non è l’unica versione che stai raccontando?) e sulla lunga distanza ridondante.

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