The man from Rome, di Jaap van Heusden

Un avvincente dramma psicologico che interroga sia religiosi che laici, sulla tensione del rapportarsi alle differenti manifestazioni del Sacro. Menzione speciale al Tertio Millennio Film Fest

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Presentato in anteprima mondiale a Tallinn, The man from Rome è passato in concorso alla 27° edizione del Tertio Millennio Film Fest, dove ha vinto la Menzione speciale del Festival.

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Ci siamo mai interrogati su cosa sia un miracolo? Quanto pesa il silenzio di Dio? Perché gli esseri umani sentono il bisogno di un segno materiale solo quando vi è la necessità? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che pone l’avvincente thriller spirituale dell’olandese Jaap van Heusden, che si ispira ad un falso miracolo avvenuto in Olanda e al colloquio con il sacerdote che indagò all’epoca.

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Il protagonista è Padre Filippo (uno straordinario Michele Riondino): un uomo tormentato, scettico (come San Tommaso), in continuo bilico tra l’abbandono mistico e la razionalità chiarificatrice. Un uomo che vive con grande agitazione, ma al contempo passione, il suo conflitto interiore tra fede e scienza. Ha il compito di scoprire le menzogne e gli inganni che si celano dietro molti presunti miracoli e le sue certezze verranno travolte dal dolore di una piccola comunità di fedeli.

Per questo il Vaticano lo invia a Limburgo, remota comunità olandese dove quattro anni prima una tragica sparatoria in una scuola ha lasciato una scia di sangue e un sentimento di sciagura e disperazione apparentemente irreversibili tra gli abitanti del villaggio. Le cose sembrano cambiare quando la statua di una Madonna, appartenente ad una donna e a sua figlia Térèse (una pallida adolescente sopravvissuta all’attentato ma colpita da afasia per questo motivo, interpretata dalla criptica ma cruciale Emma Bading), inizia a lacrimare e restituisce speranza e consolazione alla comunità, in qualche modo sollevandone gli animi. Tutti, anziani e genitori si aggrappano alla Vergine, la venerano, la idolatrano in una teca.

La sceneggiatura (scritta dal regista insieme a Rogier de Blok) stimola la curiosità e vanta un buon equilibrio tra l’esigenza di far avanzare la trama ad un ritmo adeguatamente veloce e la necessità di lasciare alcune cose non dette, creando un certo mistero. L’inglese di Riondino è fluente, ma quando passa all’italiano sembra un uomo di Chiesa severo. Il film è tecnicamente ben realizzato, con la colonna sonora di Minco Eggersman e la fotografia di Melle Van Essen. La regia di van Heusden è lucida, e come un antropologo indaga sugli usi e le interpretazioni: osserva, intervista, annota e non giudica, mai. Compie il classico viaggio all’inferno: più si addentra nel mistero della statua, più vede sbriciolarsi intorno a sé certezze e significati della sua missione. 

Un film che interroga sia religiosi che laici, sulla tensione del rapportarsi alle differenti manifestazioni del Sacro, il cui incontro fiorisce nel momento in cui apriamo il nostro cuore e incontriamo “l’altro da noi”, come bene ci insegna il teatro, con le sue sofferenze e le sue speranze.

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