Torino Underground CineFest 2024 – Ossessioni e malattie del contemporaneo

Alcuni titoli da un festival che parte dallo schermo per conquistare uno spazio di visibilità al cinema indipendente e aprire lo sguardo su una realtà alternativa e libera di rappresentare il mondo

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Il Torino Underground Cinefest, arrivato alla sua undicesima edizione, continua nel suo percorso di ricerca sotterranea tra i titoli indipendenti, esplora le geografie e la diversità, legge delle pagine inedite e prova ad immaginare quelle ancora da scrivere. I premi assegnati rispettano questa missione.
Il miglior film della sezione lungometraggi, Cause of death: Unknown, di Ali Zarnegar, parte come un Road movie claustrofobico e dentro lo spazio ridotto di un abitacolo rappresenta gli umori e le espressioni dei protagonisti. In Iran, sei persone si ritrovano a viaggiare sullo stesso van con un cadavere imbottito di denaro di dubbia provenienza, quello di un uomo morto d’infarto, attraverso il deserto. Viaggiano di notte, nascondono qualcosa, fuggono, dalla polizia, dalla miseria, dalla malattia, cercano qualcosa o qualcuno, la libertà forse.  La storia plasma i dialoghi ed i gesti sulle tensioni, sui visi abbassati dalla vergogna e gli sguardi sospettosi, poi si espande dai primi piani all’aridità infinita del deserto e racconta di quanto i cuori possano diventare insensibili, di una tragedia che la povertà e la disperazione trasformano in un’occasione tanto attesa di riscatto. Un film che parla del paese, delle istituzioni lontane in di uno stato di polizia, della diffidenza reciproca, della condizione delle donne ancora picchiate o zittite da qualcuno, e considerate un ornamento. I destini che si incontrano disegnano delle parabole indipendenti, si uniscono nella mancanza, nel disagio di una condizione che fa vacillare di fronte al denaro ogni ideale, e nella tentazione del peccato vedono un rischio da correre per reagire ad una condizione disagiata.

Il riconoscimento per la miglior regia va al film Scarlet Blue di Aurélia Mengin, regista, attrice e sceneggiatrice in un’opera al neon, una palette sui toni seriali di Too old to die young o Copenaghen cowboy di N.W. Refn, con una schizofrenica e febbricitante protagonista. Alter è una donna affetta da un disturbo della personalità a causa di un trauma infantile, che cerca una soluzione all’autolesionismo ed ai problemi con l’alcool facendo ricorso all’ipnosi. A guidarla nel percorso di immersione nel ricordo un misterioso dottore, che con metodi poco ortodossi indaga nella sua vita, dalla relazione complicata con la madre, agli impulsi sessuali irrefrenabili, come quello che la porta tra le braccia e le gambe di Chris, una ragazza dipendente in una stazione di servizio. Le inquadrature sghembe e la grande attenzione per la resta estetica e fotografica del progetto lo rendono materia plastica, una psicanalisi fatta di occhiaie e scafandro per affrontare il mare e tornare ad essere una farfalla, e volare lontano. Un film misterioso, affascinante, solo puntellato dai dialoghi e dalla musica sintetica, che suscita interesse per i colori acidi ed i sogni morbosi, le perversioni e le fantasie recondite, su un copione invece conforme, nelle sue linee di sviluppo, ad una deriva classica ed un’ovvia conclusione.

Ben tre premi, sceneggiatura, fotografia e migliore interpretazione maschile (Anthony Moudir) vengono attribuiti ad Orso di Bruno Mercier, che crea un’atmosfera claustrofobica attorno alla figura di un pittore, Orso appunto. Innamorato di Louison, una donna vittima di un disturbo bipolare, vive in una realtà ossessiva, riprodotta nei silenzi interrotti da improvvisi attacchi d’ira, dall’amore folle e disperato, fino alla scomparsa della donna ed all’arrivo di sua sorella gemella, Mara, per un nuovo gioco delle parti. Quello che sembra riprodursi sullo schermo è il sofferto travaglio di un processo creativo, una catarsi destinata a diventare maniacale in un racconto dai tratti confusi e fragili, di spettrale trasparenza caratteriale al servizio della narrazione. L’arte e la pazzia, e la bellezza da leggere come una tragica maschera della paura, paranoica e sospettosa compagna di una silhouette segnata nel profondo. La riflessione più scontata tocca il disastro di una relazione malsana, ma in quel buio tossico, in quel dolore stampato sul viso, nasconde un desiderio, una voglia irrefrenabile, una linea da superare, parla di coraggio ed incoscienza, dilatando l’angoscia in tanti frammenti portati dai fantasmi, una memoria ferita e sottile che ricorda una carezza lasciva ed uno sguardo perso nel vuoto.

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