Trap, di M. Night Shyamalan

La trappola è una delle figure chiave del cinema di Shyamalan. Qui viene richiamata sin dal titolo e rivela in modo esplicito l’intento di un film paradigma. Lucidissimo, come sempre

--------------------------------------------------------------
BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

--------------------------------------------------------------

Lo abbiamo imparato. Il cinema di Shyamalan da sempre ha a che fare con spazi chiusi. Che siano zone di sicurezza e di conforto, villaggi in cui coltivare l’illusione di un riparo dalle minacce del mondo esterno. O che siano bolle invalicabili, come la spiaggia di Old o la casa nel bosco di Bussano alla porta, sospese in un’altra dimensione, dove il mistero assoluto si apre al terrore dell’abisso. In ogni caso, si tratta di trappole. Perché, per Shyamalan, la vita è sempre oltre, fuori, là dove si annidano i rischi, gli imprevisti, là dove c’è tutto da perdere, ma anche dove si nasconde il senso delle cose, la pienezza dell’esperienza, la cura al male. E in questo senso, ogni suo film attraversa una soglia, reale o mentale, è un racconto di evasione e fuga, una fuoriuscita che è il simbolo di una rinascita. Il momento in cui si “viene al mondo”, come nel finale esemplare di Glass. Ed è per questo che ogni storia prolifera di profezie e visioni, di segni che annunciano e preparano l’avvento.

--------------------------------------------------------------
KIM KI-DUK: LA MONOGRAFIA DEFINITIVA!

--------------------------------------------------------------

Il fatto che in Trap, Shyamalan scelga di richiamare sin dal titolo una delle figure chiave del suo cinema, rivela in modo esplicito l’intento di un film paradigma. Che non a caso replica all’infinito il motivo della trappola. Dal mega-concerto di Lady Raven (intrepretata dalla figlia Saleka Night Shyamalan), blindato e preparato in ogni dettaglio per consentire la cattura del Macellaio, l’efferato serial killer che sta seminando il terrore a Philadelphia, fino alle tante piccole gabbie in cui si rinchiude il film: il bagno della casa di Cooper in cui si rifugia la popstar, l’appartamento abbandonato in cui è incatenato Spencer, la nuova vittima del Macellaio, la limousine di Lady Raven, la stessa casa del protagonista che, a un certo punto, diventa lo scenario risolutivo. Ma è una gabbia anche il formato bloccato delle immagini, quelle catturate dalle videocamere di sorveglianza, quelle che si moltiplicano nei selfie e nelle riprese degli smartphone e che circolano poi nella bolla dei social.

----------------------------
UNICINEMA QUADRIENNALE:SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

Shyamalan, il sorvegliante, lo sa bene. Al punto da richiamare ogni volta quest’idea di cinema come prigione, come bolla all’ennesima potenza, rifugio che, per contropartita, può togliere respiro al mondo e alla libertà. E non a caso, in Trap stringe le maglie per imbrigliare il suo protagonista e i nostri sguardi con un’economia di mezzi sempre più encomiabile. Basti pensare ai primi minuti, quelli in cui Cooper e la figlia si avviano al concerto e in cui si avverte una minaccia sempre più incombente, indefinita, scandita da quei controcampi sui poliziotti, sugli agenti S.W.A.T., sull’imponente servizio di ordine spiegato a ogni uscita e ogni ordine di posti. Siamo certi che qualcosa accadrà, qualcosa di terribile da cui non potremo sfuggire. E cerchiamo così un appiglio, una via di uscita. Magari una distrazione nello spettacolo scintillante di Lady Raven. Ma, anche quello, in fin dei conti, è un abbaglio, che si regge su una serie di illusioni e finzioni.

Come sempre è questione di dettagli. Quando la star introduce sul palco il suo mentore, The Thinker, lo presenta come una persona meravigliosa, una guida luminosa. Ma solo un istante prima lo abbiamo visto trattare malissimo la sua assistente. Scena che si ripeterà poco dopo, implacabile, imbarazzante. In un film che sembra ossessionato dalla dicotomia angeli/mostri, in fondo nulla è come appare. Non esiste bianco e nero. Non esiste giudizio netto, nonostante il ruolo decisivo ricoperto dalla profiler Hayley Miles… Del resto Cooper è un vigile del fuoco, “uno dei nostri”, come gli dice l’ingenuo addetto al merchandising. Eppure… E la stessa Lady Raven non può ritenersi “integra”. È la frase decisiva, la più dolorosa di Cooper. “Non esistono persone integre. Siamo tutti rotti”.

È proprio qui che si apre la gabbia più cupa e profonda, quella della mente, quella che si richiude sulle ferite del passato, sulla paura e la rabbia, sul senso di colpa e sull’autodistruzione punitiva. Il Cooper di Trap sembra davvero la versione condensata del Kevin Wendell Crumb di Split. Non c’è più l’Orda schizofrenica delle 23 personalità né la strutturazione paranoica del potere sovrumano della Bestia (il presidente Schreber ha i raggi del cielo nel culo). E neppure quella struggente statura tragica del personaggio. Qui tutto è giocato su un filo sottilmente ironico, quasi distante. Ma c’è comunque una scissione profonda (tenere separate le due vite), ritorna la genesi del mostro dalle sofferenze atroci dell’infanzia, da questa figura materna punitiva che, proprio come per la Bestia, diventa la radice fondamentale della rabbia e dell’odio. E si avverte come una specie di desolata rassegnazione. Certo, è solo un’impressione fugace, questione di istanti, di mezze frasi, di impercettibili smorfie del volto e del corpo, che Josh Hartnett cerca di restituire con tutta la gamma di espressioni a sua disposizione (anche siamo lontani dalle vertigini di James McAvoy!). Ma è come se il protagonista, nonostante faccia di tutto per fuggire con estrema freddezza e lucidità, nutrisse un desiderio segreto di farsi scoprire. Un grande classico del profilo dei serial killer. Ma anche, per Shyamalan, un’insopprimibile scintilla di vita che si fa strada tra gli spazi vuoti della morte. Scoprirsi, venir fuori, rinascere. Chissà… Forse, il punto è proprio qui: seppur la purezza non sia mai un dato acquisto, ovunque si trova una strada imprevedibile. L’epilogo è un po’ più in là e il cammino è misterioso. Come sempre. “Lì dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”, diceva Hölderlin.

Titolo originale: id.
Regia: M. Night Shyamalan
Interpreti: Josh Hartnett, Ariel Donoghue, Saleka Shyamalan, Alison Pill, Hayley Mills, Jonathan Langdon, Mark Bacolcol, Marnie McPhail, Russ, Lochlan Miller, Marcia Bennett, M. Night Shyamalan
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Durata: 105′
Origine: USA, 2024

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
3.75 (4 voti)
----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative