TRIESTE FILM FESTIVAL 18 – Attraverso la solitudine dell'esistenza

Cinema che racconta la realtà quotidiana fatta di solitudine, di speranze mai avverate, di città opprimenti che ghettizzano aspettative e desideri. Questa condizione accomuna tanto l'occidente quanto l'oriente, contagiato dal "morbo urbano" che da molto tempo ormai avvelena l'Europa tutta

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Il nostro viaggio attraverso la cinematografia dell'Europa Orientale continua, toccando le tappe di Serbia, Russia, Polonia e Germania. Nella sezione Concorso Internazionale Lungometraggi, che ha presentato film provenienti da tutta l'area orientale, si è notato come il cinema abbia un cuore pulsante, energia vitale, desiderio di fare e di mostrarsi, varcare quel muro, oramai immaginario ma ancora capace purtroppo di impedire una visibilità regolare a tutti quei cineasti che vivono e lavorano nella "parte sbagliata" dell'Europa. Cinema che racconta la realtà quotidiana fatta di solitudine, di speranze mai avverate, di città opprimenti che ghettizzano aspettative e desideri. Questa condizione accomuna tanto l'occidente quanto l'oriente, contagiato dal "morbo urbano" che da molto tempo ormai avvelena l'Europa tutta.
Optimisti, del serbo Paskalievic, completa la trilogia sulla Serbia dell'ultimo decennio dopo La polveriera e San Zimske Noci. Cinque storie ispirate al Candido di Voltaire, dove la speranza, il falso ottimismo, come definito dallo stesso regista, pare essere l'unico motore trainante di una nazione messa in ginocchio dalla guerra. Film luminoso dal ritmo sostenuto, a tratti persino tambureggiante, ma che non convince per la caotica frammentarietà di racconto; la messa in scena è curatissima, ma non c'è calore nello sguardo di Paskelievic, pare invece di entrare in una sorta di circo dai mille colori (tipico del cinema balcanico) dove però le emozioni scarseggiano appunto per la mancanza di passione e di partecipazione della mdp, lasciando la sensazione di un lavoro ben confezionato ma fine a se stesso.
Z Odzysku del polacco Slawomir Fabicki, è una sorpresa: senza velleità autoriali, racconta la vita di Vojtek (Antoni Pawlicki) ragazzo ventenne innamorato di una donna più grande di lui, Katia (Natalija Vdovina), ucraina senza permesso di soggiorno che sopravvive grazie a lavori saltuari. Film dall'impianto grezzo ed allo stesso tempo furente, di notevole potenza emozionale, riesce a descrivere in modo efficace la condizione di una donna emigrante in un paese di migranti, la Polonia. Premiato con una menzione speciale dalla giuria, il regista mostra l'incapacità del giovane Vojek di uscire da una realtà malata, fatta di lavori che travalicano la legge, dove la violenza pare essere l'unico linguaggio che viene compreso all'interno di un sistema deviato privo di morale.
Dalla Russia, Bihisht Faqat Baroi Murdagon di Djamshed Usmonov, storia del ventenne Kamal (khurched Golibekov), appena divorziato perché non riesce ad avere rapporti con la moglie, che parte alla ricerca di una donna con cui fare esperienze: un incontro particolare cambierà per sempre la sua vita. Messa in scena essenziale che registra solitudini rasentanti l'alienazione, dialoghi  limitati all'essenziale, dove sono gli sguardi, i movimenti del corpo ed il cemento grigio della città a parlare di un dolore esistenziale senza possibilità di guarigione.
"Update Deutchland 2" è la rassegna dedicata al nuovo sguardo trasversale e particolare sul cinema tedesco. Abbiamo seguito Halbe Treppe di Andreas Dresesn e Prinzessin di Birgit Grosskopf. Film diversissimi tra loro – uno commedia agrodolce, l'altro, dramma giovanile tutto al femminile – accomunati però da un senso di insoddisfazione e di  banalità quotidiana che portano i protagonisti a cercare emozioni forti e proibite per dare uno scossone alle loro monotone esistenze. Tradimento e violenza, perdono ed omicidio, questi i temi trattati dai due lungometraggi tedeschi, dove anche in questo caso la città (siamo al confine con la Polonia) diventa una sorta di gigantesca prigione di cemento, dalla quale è impossibile uscire per ritrovare una libertà tanto agognata quanto irraggiungibile.

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