Un milione di modi per morire nel West, di Seth MacFarlane
MacFarlane ne è sicuro, è sicuro di trovare in qualcuno oltre lo schermo il complice di questo suo scenario fantasmatico. Perché MacFarlane è questo, un sognatore. Che fa sogni ingialliti, polverosi, che sono ricordi e memorie, che potrebbero essere il musical di Broadway Oklahoma! o la nuova stagione de I Flintstones
MacFarlane è questo, un sognatore. Che fa sogni ingialliti, polverosi, e che a volte sono ricordi, memorie, magari di amicizie immaginarie e di storie mai accadute. Tutto è fantasmatico in MacFarlane, e quindi tutto è plasmabile. Come I Griffin, che sì sono l’antitesi de I Simpson, ma solo perché se i gialli di Matt Groening per venticinque anni montano e smontano a Springfield la cultura di massa americana, allora la famiglia di Quahog è solo e soltanto una famiglia e MacFarlane il family guy, che quindi gli fa fare quello che vuole: digressioni, flashback, tempi morti, cambi di scena, nonsense, tutto può accadere e sembra dover accadere in questo show che è, semplicemente, la pura volontà e le nude idee improvvise e contraddittorie del loro creatore – e quanto può andare oltre questa animazione, con lo stesso MacFarlane che dà la voce ad almeno quattro personaggi principali… E l’incontro con il (presunto) realismo del cinema, che poteva essere il momento annichilente di quello che c’è dentro la testa di MacFarlane, dà invece vita alla dimensione alternativa di Ted al cui centro c’è, ancora e ancora, lui. Un “lui” irreale e immaginifico, un teddy bear, che però ha anche un passato, un’adolescenza, e quindi dei ricordi, delle amicizie, delle storie, che condivide con il suo originario punto di contatto con la (nostra) realtà, il John di Mark Wahlberg. E a ben (ri)vedere, ciò che li unisce è un passato che è in realtà sogno e quindi avventura, come la favolistica e dickensiana sequenza iniziale con John bambino, il Natale, le coperte come tende da campeggio, la paura dei tuoni; e poi il quarterback dei New York Jets Sam Jones, al secolo dei secoli Flash Gordon, ricordo fondante di tante notti estive che tornerà, sempre e comunque, nelle loro vite, assieme. E se fai un salto ulteriore dalla favola arrivi al mito, dal ricordo al passato. Arrivi al western di Un milione di modi per morire.
E MacFarlane ci arriva preparato, dopo aver studiato – e quindi aver rivisto –, ambienti, personaggi, situazioni. Che sono tutti elencati, dall’allevatore Albert (lui stesso) alla calamity girl Anna (Charlize Theron), dal cittadino Edward (Giovanni Ribisi) alla prostituta Ruth (Sarah Silverman), dalla ragazza della frontiera Louise (Amanda Seyfried) al commerciante Foy (Neil Patrick Harris), dal bandito Clinch (Liam Neesom) all’indiano Cochise (Wes Studi). E poi la main street, la fiera della contea, la ferrovia, il grande ballo. Questo macro-mondo, questo macro-cinema, viene incastonato in gesti figurativi che sono suoi e forse soltanto suoi, la panoramica della vallata, il dolly dell’inseguimento a cavallo, il campo lungo e poi il primo piano della sparatoria, e mosso emozionalmente da quel libretto d’accompagnamento che sono le musiche di Joel McNeely. Certo, le strattonate postmoderne fanno irruzione – i consapevoli riferimenti a Stephen Foster e Mark Twain, le apparizioni di Ryan Reynolds, Gilbert Gottfried e Bill Maher –, e forse anche l’ossessivo e compulsivo evocare i milioni di modi per morire nel west sembra tendere a questo, ma è proprio qui che MacFarlane chiarisce definitivamente quello che sta facendo: anche se ne elenca a decine di modi per morire nel west, anche se noi e lui li conosciamo tutti, noi e lui rimaniamo comunque a guardarli, a prenderne parte, perché, per noi come per lui, il western è tutto.
MacFarlane ne è sicuro, è sicuro di trovare in qualcuno oltre lo schermo il complice di questo suo scenario fantasmatico. Ecco quindi che accanto alle risate c’è la violenza delle risse, delle sparatorie, delle mutilazioni, del sesso – i tanti modi per morire nel west. E soprattutto c’è una scrittura che rimane sempre dentro quel macro-mondo, quel macro-cinema, concedendosi sì il vomito, l’erotomania e le battute sugli ebrei, ma dentro una comicità che è rivolta e si riferisce solo al western – la folla ai duelli, le fotografie senza sorridere, gli indiani e i bianchi. MacFarlane è sicuro che tutto questo sarà visto e capito da chi ha visto e capito quel cinema lì. E ad un certo punto, noi e lui, lo vediamo di nuovo quel cinema, vediamo di nuovo Ritorno al futuro III, un viaggio nel tempo che è viaggio in un mito, quello di una trilogia che stava finendo e quindi si mostrava per un’ultima volta, già nel passato e nel ricordo, nel passato e nel ricordo assoluti del western – e per questo la fotografia sbiadita di Marty e Doc davanti all’orologio di Hill Valley è una delle immagini cinefile della vita. Lo vediamo di nuovo, Ritorno al futuro III. Udiamo dei rumori provenienti dalla stalla, apriamo la porta. E riconosciamo la macchina, lo scienziato. E lo sentiamo per un’ultima volta. “Grande Giove!”.
Titolo originale: A Million Ways to Die in the West
Regia di: Seth MacFarlane
Interpreti: Seth MacFarlane, Charlize Theron, Liam Neesom, Amanda Seyfried, Giovanni Ribisi, Sarah Silverman, Neil Patrick Harris
Origine: USA, 2014
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: '116