Una settimana e un giorno, di Asaph Polonsky
Polonsky si aggancia agli sguardi di Eyal e Vicky e con delicatezza li segue, li intercetta, li scopre, riuscendo attraverso i dettagli che cattura a mostrare ciò che è impalpabile
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Eyal e Vicky hanno appena perso il figlio Ronnie, malato di cancro. Al termine dello Shiva, la settimana di lutto che segue il funerale nella tradizione ebraica, si ritrovano soli in una casa troppo grande e silenziosa, a dover affrontare forse il dolore più atroce di tutti. Ognuno dei due, nel giorno successivo, dovrà fare i conti con il ritorno a una normalità impossibile, fatta di accumulo di silenzi, spazi vuoti, ore. Eyal passerà una giornata imprevista con Zooler, simpatico e strambo figlio dei vicini, tra sessioni di chitarra invisibile, interventi immaginari per rimuovere tumori, corse al cimitero. Asaph Polonsky, per il suo lungometraggio d’esordio Una settimana e un giorno, presentato a Cannes 2016 e vincitore del Prix Fondation Gan à la diffusion, tratta temi delicatissimi come la malattia terminale, il lutto e il dolore della perdita. Nel farlo, miscela gli elementi muovendosi continuamente tra toni lievi, fino anche a toccare l’assurdo, e sommovimenti dell’animo che viaggiano nelle piccole cose, impercettibili e devastanti. Fino alla resa dei conti finale, quella con una sofferenza da cui non si può scappare, e che alla fine arriva, ti colpisce, si manifesta nei modi più disparati, inspiegabili, impalpabili.
E sull’impalpabile e l’invisibile insiste con amara allegria e levità questo film così spoglio, semplice, diretto e vero. Disadorno, denudato dalle convenzioni, dagli incipit, da rumori e suoni per quasi tutto il suo svolgimento, nella sua narrazione discontinua che rimpalla da una storia all’altra, tra volti, lacrime, lapidi e stanze vuote.
Titolo originale: Shavua Ve Yom
Regia: Asaph Polonsky
Interpreti: Uri Gavriel, Tomer Kapon, Sharon Alexander, Shai Avivi, Evgenia Dodina
Origine: Israele, 2016
Distribuzione: Parthénos
Durata: 98′