"Vendicando Angelo – Avenging Angelo" di Marthyn Burke

"Vendicando Angelo" è la quintessenza nascosta, occultata, mascherata, di un corpo, quello di Stallone, che nel corso di questi ultimi vent'anni ci ha fatto innamorare della diversità scambiata per ipertrofia muscolare, della onestà intellettuale scambiata spesso e volentieri per rozzezza culturale.

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BANDO BORSE DI STUDIO IN CRITICA, SCENEGGIATURA, FILMMAKING

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Vendicando Angelo è l'ultimo film di Anthony Queen, morto pochi mesi dopo le riprese. Ma, per quanto ci riguarda, potrebbe anche essere l'ultimo film di Stallone. La posta in gioco è troppo alta per poter essere quantificata, quindi "passiamo" tranquillamente, coscienti che la verità dello schermo non inganna quasi mai. Già, ma quale verità? Quella dell'opera da due soldi raffazzonata alla meno peggio, o quella suggeritaci all'orecchio da una qualche sensazione del momento che ci spinge in un lido opposto? E' difficile rispondere, certo è che quando si ama una persona, tutto ciò che la riguarda acquista un carattere diverso. Potremmo liquidare Vendicando Angelo come hanno fatto un pò tutti, ma non ce la sentiamo. Il motivo è semplice. Vendicando Angelo è la quintessenza nascosta, occultata, mascherata, di un corpo che nel corso di questi ultimi vent'anni ci ha fatto innamorare della diversità scambiata per ipertrofia muscolare, della onestà intellettuale scambiata spesso e volentieri per rozzezza culturale. Si parla di Stallone naturalmente e si allude ad uno sguardo che ha fatto della sconfitta, dello scacco, della perdita, un timbro autoriale che non si trova nemmeno nei maledetti classici di Hollywood. Il cinema scorre, le immagini si accavallano, le sperimentazioni nate vecchie (leggi Dogma) ormai non si contano più, ma Stallone continua imperterrito ad esibirsi nell'oscenità folle e disperata di chi il cinema lo considera una faccenda troppo seria per non morire ogni volta in quello che vive sullo schermo. Le sue ultime opere campeggiano già nel dimenticatoio generale, sono sguardi sin troppo sbilanciati nella direzione del non-ritorno per essere fraintesi, equivocati, rifiutati prima ancora di apparire e di imporsi quali negazione del prodotto globalizzato/ mangiato/ vomitato in fretta. Si parla spesso di film d'autore, si scambia l'intenzione col risultato, e si dimentica che la programmaticità retorica del senso compiuto è una perimetrazione intollerante che, per quanto ci riguarda, non sottoscriveremo né adesso, né mai.

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Stallone (e lo dimostra bene in questa sua ultima sofferenza/ visione/ allucinazione) non bada tanto all'epidermide del racconto, alla carineria artificiosa che piace molto a certi critici, ma solo e soltanto a firmare il mondo in cui è immerso con brandelli di cuore disseminati a piene mani nella prospettiva. Nel film di oggi si tratta di onorare l'impegno preso con vecchio boss della mala, morto a causa sua. Dovrà occuparsi della figlia, cercando di proteggerla dai malviventi che vogliono farla fuori. Un vecchio debito d'amicizia insomma, sotto forma di quadretto dalle apparenze familiari incrinato dall'ombra della morte. Sembrerebbe un topos drammatico, per certi versi lo è pur essendo calato in un contesto dichiaratamente comico, ma si tratta anche di un lungo movimento passionale che ci scaraventa alle soglie liminari della poetica di Stallone, a quell'intarsio sbilanciatissimo di melodramma e poesia, brutalità e tenerezza. Il film non sta in piedi un solo attimo, è continuamente arso all'interno da un'indecisione a intraprendere una delle due strade prospettate (comico/ tragico), manca continuamente il tempo giusto, lo stacco esatto, il raccordo indovinato. Si inscrive poi sin dalle prime sequenze nel diametro ossessivo della ripetizione insignificante, ma poco importa. Contiene al suo interno delle vere perle di tenerezza assolutamente romantica che solo Stallone poteva permettersi e d'altronde non potrebbe non essere così. Stallone ha deciso di mandarsi definitivamente a morte, fregandosene di tutti quelli che lo davano per morto già da una decina d'anni. Doveva interpretare un semplice film di genere, ma ha evidentemente preso in mano le briglie del racconto, infischiandosene della firma ufficiale che campeggia sui crediti dell'opera (quella di Burke). Ha deciso di immolarsi (speriamo che ripeta al più presto questo sublime rito) sull'altare di un santuario che non gli appartiene più. A questo punto si tratta di scegliere: abbandonarlo per sempre, o seguirlo. Non ci pensiamo nemmeno un attimo. La seconda.

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Titolo originale: Avenging Angelo
Regia: Martyn Burke
Sceneggiatura: Will Aldis, Steve Mackall
Fotografia: Qusama Eawj
Montaggio: David Codron
Musica: Bill Conti
Scenografia: Eric Fraser
Costumi: Denise Cronenberg
Interpreti: Sylvester Stallone (Frankie Delano), Madelaine Stone (Jennifer Barrett), Anthony Quinn (Angelo), Raoul Bova (Marcello/Gianni), Lori Anne Alter (Kay), Billy Gardell, Carin Moffat, Harry Van Gorkum
Produzione: Stanley Wilson per Franchise Pictures/Warner Bros
Distribuzione: CDI/Medusa
Durata: 95'
Origine: Usa, 2002

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