Venezia 81 – Incontro con Gianni Amelio e il cast di Campo di Battaglia

“Non è un film di guerra, è un film sulla guerra” ha dichiarato Amelio parlando di Campo di battaglia. Borghi, Montesi, Rosellini, i produttori e lo sceneggiatore a Venezia 81, in concorso

-------------------------------------------------------
LA SCUOLA DI DOCUMENTARIO DI SENTIERI SELVAGGI

-------------------------------------------------------

“Io ho un modo di lavorare che probabilmente non è condiviso dagli altri registi. Io non penso io sento”, ha dichiarato Gianni Amelio, aprendo così la conferenza stampa di Campo di Battaglia nel Palazzo del Casinò del Lido di Venezia.
“Sento nelle viscere le cose”, ha continuato il regista. “Non parto mettendo le cose a tavolino con le idee una appresso all’altra, perché le ho sentite dire, perché devo fare riferimento a questo o quest’altro argomento, perché tira…Ne è testimone il mio sceneggiatore Alberto Taraglio, che mi sopporta in questo mio modo di lavorare. Scriviamo sei o sette versioni diverse della sceneggiatura e Alberto sa che poi il film sarà un’altra cosa. E questo lo sanno anche gli attori, che la mattina quando vanno al trucco, aspettano un foglietto, che gli arriva sempre, ogni mattina, dove c’è una scena nuova. Vero?” Chiede conferma agli attori seduti accanto a lui, i protagonisti del film: Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini. Gli interpreti annuiscono ridendo insieme al pubblico, composto da giornalisti e accreditati. Dopo questo brevissimo intermezzo, Amelio continua. “Non si scandalizzano, più, gli attori; assolutamente! Ormai aspettano. E guai se io non gli mandassi la scena nuova! Avrebbero paura di girare la scena vecchia! Vorrebbe dire che non sono in forma!”
Gianni Amelio, con la sua voce grave e teatrale, ha continuato raccontando aneddoti dalla sua lunga carriera. “Una volta mi capitò con Jean-Louis Trintignant, che era abituato ogni mattina a ricevere le battute, che andavano tradotte in francese, però. Una mattina, dunque, mi chiese “Non ho ricevuto niente di diverso, quindi faccio la scena che è scritta?”
E io gli dissi, “Sai perché? Perché non ne ho idea! Je n’ai pas d’idee aujourd’hui” E lui rispose, “ça m’etonne beaucoup! mi meraviglio molto!” E quindi l’eccezione confermò la regola. Io ero abituato a fare film con grande libertà. Trintignant il primo giorno mi disse, “Io ho fatto 62 film Tu stai facendo il primo. Ma in tutti i 62 film io ho avuto bisogno di un regista. Io mi aspetto un regista. Non ti curare di avere un attore esperto e professionalmente importante. Tu fai il regista! Sono andato fuori tema?”
Segue un applauso da parte del pubblico, prima che Amelio cominci a parlare del significato delle immagini nel suo film, Campo di battaglia: un film sulla guerra e non un film di guerra.

“Le immagini di guerra sono usurate e paradossalmente sembrano oggi irreali. Perché le vediamo troppo! Siamo abituati a guardarle alla televisione anche quasi in diretta. Feriti, morti, e non parlo solo di Gaza e dell’Ucraina ma è guerra anche l’affondamento di un gommone… Le immagini di morte vengono consumate in situazioni che non sono quelle della sala cinematografica.”
Amelio ha continuato spiegando cosa significhi per lui la Sala Cinematografica:
“un tempio. Dovrebbe essere considerato il tempio della goduria del cinema.”
Il regista invita il pubblico ad andare a vedere il suo film nella sala, non è un film da poter apprezzare alla televisione. “Dovremmo stare attenti a ricevere emozioni. Quando si è a casa, si cena si guarda il telefonino, e intanto arrivano immagini e suoni di guerra. Questo provoca un’assuefazione terribile.”
Il regista ha poi tessuto le lodi dei suoi attori, tutti i suoi attori, comprese le comparse. Interpreti trovati “scavando nelle regioni italiane”, ognuno da un punto diverso del paese, ognuno con un accento diverso. “Il soldato che viene dalla Puglia, che mi commuove, oppure il valdostano… Mi fa morire questo accento!
Vorrei che fossero tutti qui. Mi piacerebbe che qualcuno qui stasera si presentasse, in sala, come già è avvenuto in passato.”
Il regista, con tono commosso, ha passato la parola all’attore protagonista del film, Alessandro Borghi. “Non ho mai conosciuto nessuno come Amelio da quando faccio questo lavoro. È stato davvero la benzina di questo processo creativo.
Abbiamo cominciato a parlare del film un anno e mezzo prima di iniziare il lavoro.
E mi chiamava per chiedermi di parlarne e ci incontravamo. Ti responsabilizza e ti rende parte del processo…”
L’attore ha espresso le difficoltà emotive che ha provato nell’interpretare un personaggio che inizialmente sembra essere il “buono” del film, colui che è contro la guerra. In realtà, però, il metodo poco ortodosso del protagonista è una scelta estremamente relativa, “Chi ha ragione?” chiede Borghi, “Non c’è una risposta. È un conflitto con noi stessi. Sono azioni che io, per esempio, non avrei mai fatto.” L’attore si è poi riallacciato al discorso iniziato prima da Amelio. “Ogni mattina io e Gabriel stavamo lì ad aspettare la nuova scena. Però è bello anche così perché se hai fatto bene il lavoro prima, riesci a scoprire nuove cose di questi personaggi grazie alle nuove scene. Quest’uomo ha un entusiasmo incredibile. Ora che siamo invasi dalle piattaforme non si fa più così il cinema.” Borghi ha ringraziato nuovamente Amelio e gli altri attori presenti, prima di aggiungere, per finire con un pizzico di umorismo, “È stato bello far parte delle paturnie di Gabriel che mi chiamava e mi diceva, “Hai visto? Ha cambiato la scena altre sette volte!”
Ha poi preso la parola proprio Gabriel Montesi, dichiarandosi molto emozionato.
“Gianni è una grandissima persona e un grandissimo regista e mi ha insegnato tanto. Mi ha fatto capire cosa significa un’inquadratura, che un attore a volte ha la presunzione e vuole sentirsi libero e invece grazie al disegno che Gianni mi dava ogni giorno mi mostrava la direzione del film e mi ha fatto capire che il lavoro dell’attore significa anche saper leggere un regista.”
Federica Rosellini ha parlato del personaggio che ha interpretato, Anna, “un personaggio inafferrabile, perché lei stessa non riusciva a prendersi tra le mani”. L’attrice ha affermato: “Questo film ci ricorda anche quanto sappiamo dimenticare, e per una volta non bisogna solo dimenticare ma prendere posizione e agire.”

----------------------------
UNICINEMA QUADRIENNALE:SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

Alberto Taraglio, lo sceneggiatore, ha poi raccontato com’è nato il processo creativo. “Uscivamo dalla pandemia, ero reduce, come tutti, da un anno passato in casa. Gianni mi chiama e mi dice che ha trovato un romanzo che parla anche della pandemia: La sfida, uno strano libro a metà tra un saggio e un romanzo. Una sorta di dissertazione filosofica sulla necessità o meno di intervenire sui soldati. Io avevo appena finito di leggere “Nulla di nuovo sul fronte occidentale.”
Regista e sceneggiatore si sono messi al lavoro nella cucina di Amelio, “il nostro pensatoio.” E pian piano hanno tessuto insieme una storia, partendo da questi due personaggi che non esistevano, più che personaggi, ideali. Era importante che la guerra non si svolgesse al fronte ma in un ospedale. “I morti per la prima guerra equivalgono ai morti per la spagnola” ha precisato Taraglio, “E mentre il covid colpì soprattutto gli anziani, la spagnola colpì soprattutto i bambini.”
Alla prima guerra mondiale seguì la pandemia della spagnola, mentre al Covid seguì la guerra. “Gianni ha avvertito questa cosa. E ne abbiamo fatto un film.”
Presenti in sala anche i produttori del film, Paolo Del Brocco e Simone Gattoni, che hanno parlato delle sfide produttive del film. Qualche chiamata durante le riprese, fate a 2500 metri di altezza, per sapere come stessero andando: “Gianni sta benissimo ma la troupe sta morendo di freddo… Hanno accettato questa sfida e ci hanno condotto anche a noi.”
Prima di concludere la conferenza, Gianni Amelio ha voluto aggiungere: “Io voglio bene a tutte le persone che sono sedute qua”, una breve pausa, interrotta dalla battuta di Borghi: “Tranne a…” a cui sono seguite risate. Amelio ha continuato, “In prima fila sono sedute persone che io avrei voluto qua, ma non c’è posto. Luigi, mio fratello; Samanta, mia figlia; e Luan, il mio vero figlio, il direttore della fotografia. Non amiamo la bella fotografia. Amiamo la giusta fotografia.
Non è stato solo bravo ma come gli antichi operatori degli anni ’60, è stato il pilastro del film. Perché il regista è pazzo, si sa. Gli attori anche. Tutti complici in un manicomio, è il direttore della fotografia che tiene tutto insieme.”

----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative