Venezia 81 – Labirinti. Intervista al regista Giulio Donato

Il regista ci ha raccontato il suo esordio in bilico tra sogno e realtà, ambientato in un piccolo paese della Calabria. Sezione #confronti delle Giornate degli Autori di Venezia 81

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Presentato nella sezione #confronti delle Giornate degli Autori di Venezia, Labirinti è il primo lungometraggio da regista di Giulio Donato. In bilico tra sogno e realtà, il film racconta la storia di Francesco (Francesco Grillo) e Mimmo (Simone Iorgi), due amici d’infanzia che prendono strade opposte. Ambientato in un piccolo paesino della Calabria, l’opera prima di Donato racconta le difficoltà e le angosce tipiche dell’adolescenza, amplificate da un territorio che reprime l’emotività. Trovare l’uscita dai labirinti della mente sarà l’unico modo per comprendere se stessi e la propria identità sessuale. Di seguito l’intervista con il regista Giulio Donato.

Labirinti è ambientato quasi interamente in Calabria, ma la rappresentazione del territorio e dei suoi abitanti non è la solita a cui siamo abituati al cinema. Cosa volevi raccontare della Calabria e perché hai scelto di girare il tuo primo film proprio lì?

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Non volevo tanto raccontare la Calabria in sé ma usare il territorio calabrese per rappresentare l’universo interiore del protagonista. Non solo per il tessuto sociale e la storia del luogo, soprattutto per la conformazione del paesaggio. Secondo me c’è una grande energia, quasi soprannaturale, tra il territorio e la natura. Qualcosa di travolgente che si percepisce chiaramente e l’ho utilizzato per raccontare il mondo interiore del protagonista: un senso di angoscia e fragilità nel periodo adolescenziale.

Hai deciso di utilizzare la festa patronale di San Francesco da Paola per scandire i diversi capitoli del film. Ogni anno, sempre con la stessa inquadratura e la stessa scritta, un po’ per indicare il tempo che passa e sottintendere come tutto resti immobile nel paese.

Tutti i momenti più importanti del film si svolgono durante la festa. Il paese aspetta quella festa mentre durante l’anno c’è ben poco da fare, in quel giorno possono succedere grandi cose, sia momenti di gioia che di dolore e confronto. La ciclicità nel tempo era importante, ovvero mostrare come tutti i ragazzi crescono e nel paese tutto resta così com’è. Anche da adulti, c’è chi resta ancorato a quel mondo e di conseguenza alla festa e chi invece se l’è lasciato alle spalle.

Labirinti ha due anime ben distinte. Da una parte l’aspetto realistico e quindi più aderente alla vita dei ragazzi e il racconto del paese, dall’altra c’è un approccio completamente opposto, che va dall’onirico al surreale. Una duplice natura che si rispecchia perfettamente nei due protagonisti del film. Come hai lavorato su questa scissione e come hai equilibrato due approcci apparentemente in antitesi?

Ho cercato innanzitutto di omogeneizzare questi due generi opposti. Nella parte realistica ho cercato di rendere una grana nostalgica in modo da amalgamarsi meglio con le sequenze oniriche, utilizzando molto il colore. Nel racconto della vita di paese tra i ragazzi c’è molta camera a mano, sporcature, cambi di fuoco, aperture di diaframma sbagliate, situazioni che normalmente avresti tagliato. Lo spettatore doveva dimenticarsi di star guardando un film, una ricerca che vale per ogni aspetto del film, costumi, scenografie e altro. Per me era molto importante far accadere realmente le cose davanti alla macchina da presa. Avevo delle idee precise, dei punti focali, ma poi le cose dovevano realmente accadere davanti a me. Su quello che succedeva poi abbiamo lavorato. Nel mondo onirico abbiamo fatto un lavoro più levigato, più preciso, ma comunque con un approccio immersivo, tanti POV, un sound design emotivo e sensoriale. Qualcosa che ti trasmette l’idea che il film stia accadendo davanti a te. Sono momenti in cui ti senti trascinato dalle sensazioni del personaggio. Il mondo onirico per me è comunque reale, il personaggio lo sta vivendo in quel preciso istante.

Come hai trovato i ragazzi protagonisti del film e cosa cercavi negli attori?

Abbiamo pubblicato degli annunci in Calabria e si sono presentati moltissimi ragazzi, sia del paese che di altre province. Io cercavo delle persone che potevano ricordarmi l’idea che mi ero fatto di quei personaggi. La persona deve venire prima del personaggio. Lavorando con gli attori scelti poi hanno preso forma personaggi, per questo motivo ho deciso di lavorare con dei non-attori, volevo rintracciare nel loro passato alcune immagini o alcune discussioni che potevano rientrare nel mio film. Partire dalla realtà per raccontare qualcosa di vero che potesse accadere davanti alla macchina da presa. Il tema del voler andare via dal paese o rimanere è qualcosa di estremamente presente nel territorio calabrese; avevo bisogno delle loro esperienze. In base alla personalità dei due ragazzi ho costruito i personaggi, seguendo alcune sfumature che ho colto. Senza mai giudicare. Non volevo dire che andare via dal paese è meglio che rimanere, sono questioni molto comuni, io volevo solo mostrarle e raccontare quel momento dell’adolescenza di ragazzi di paese.

Il tema dell’identità sessuale è qualcosa che avevi in mente fin dal primo momento o si è sviluppato nel lavoro con gli attori in modo da evidenziare ancora di più le due strade separate prese dai personaggi?

La mia prima idea del film è stata quella di una persona che in un sogno si interroga sulla propria sessualità. Da lì inizia un percorso di autocoscienza in cui considerare qualcosa che prima non aveva mai neanche immaginato. Poi l’idea di identità sessuale era un pretesto, doveva essere una miccia per scatenare questo interrogarsi su un qualcosa di scomodo. Scavare dentro se stessi in un ambiente dove non si parla dei propri sentimenti, al contrario ogni aspetto emotivo deve essere represso. Trovare l’uscita dai Labirinti della mente è un aspetto molto importante del film. Questa idea è stata l’inizio di tutto.

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