VIDEO – Il lavoro, se non è esperienza di relazione, non è progresso e non è civiltà" – Incontro con Paolo Virzì

Alla conferenza stampa del suo ultimo film, Tutta la vita davanti, Paolo Virzì parla dell’Italia odierna e del lavoro precario. Il regista livornese, come la protagonista del film, guarda con occhio compassionevole tutti i suoi personaggi, che esprimono in maniera perfetta la mediocrità ormai endemica del nostro Paese.

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Come vi siete avvicinati all’Italia di oggi per mostrarla in questo film?

 

Paolo Virzì – Abbiamo messo dentro a questo film uno spirito di curiosità, di pietà verso la società italiana, verso la vita di questi anni, cercando di cavarne fuori non un film lagnoso, nonostante il tema penoso e tragico, perché non amo i film che danno ragione a se stessi, che si autocommiserano. Da plebeo livornese ho sempre percepito che lo spirito dei subalterni non è mai lagnoso, semmai di allegra riscossa, di critica ironica, ma anche compassionevole.

 

Che tipo di sguardo avete utilizzato per raccontare questa storia?

 

PV – Lo sguardo con cui raccontiamo questo film è quello di una ragazza senza pregiudizi, una ragazza colta, una giovane studiosa di filosofia che non sapeva quasi nulla della realtà contemporanea, perché si era chiusa dentro una biblioteca tra i sacri testi e quindi il suo viaggio dentro l’inferno della sottoccupazione è in qualche modo un viaggio alla scoperta dell’Italia di oggi, dell’etica e dell’estetica di questi anni, dei linguaggi, di cosa fa soffrire e cosa fa gioire, cosa angoscia dentro le persone. Più che il tema del lavoro mi pare ci sia il tema della vita, perché il lavoro è l’elemento fondamentale per disegnare l’esistenza delle persone e per dar loro la propria identità.

 

Come avete lavorato nello scrivere la sceneggiatura?

 

PV – Il lavoro che abbiamo fatto con Francesco Bruni, lo sceneggiatore, è stato quello di un’osservazione, diciamo, sul campo. Ci siamo interessati di tanti casi di vita vissuta, dei tanti casi di ragazzi meritevoli condannati o alla fuga all’estero o all’odissea del precariato. Tra i casi personali che ci hanno molto colpito c’è stato quello di una ragazza sarda, intelligente e spiritosa, che aveva scritto sulla sua esperienza di un mese e mezzo in un call center un divertente diario-blog che poi è stato pubblicato in forma di libro e siamo partiti da lì facendoci raccontare le sue giornate di lavoro.

 

Quale pensa possa essere un modo per uscire dall’odierna situazione del lavoro precario in Italia?

 

PV – La solidarietà. Nel mondo del lavoro infatti la malattia più grave sembra essere quella della solitudine. Nel film ci sono tante ragazze che lavorano in una stanza, tutte insieme che ballano e cantano, ma sono tutte sole. Quello che raccontiamo è che il lavoro se non è esperienza di relazione, non è progresso e non è civiltà.

 

Nel suo film la Multiple Italia, un’azienda inventata, basa la sua attività economica su un sistema chiamato multilevel marketing, che invece è reale, ce ne può parlare?

 

PV – Il multilevel marketing è una specie di sistema piramidale dove il business dell’azienda è soprattutto assumere giovani ragazzi che portano in dotazione il loro portafogli clienti, ovvero i loro familiari, le loro zie, le loro mamme. L’azienda utilizza il ricatto psicologico e morale di piazzare delle vendite alle persone care del giovane neo assunto, per poi disfarsene non appena questo portafogli clienti, questa cerchia ristretta di persone care si è esaurita.

IL VIDEO

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