37 Bolzano Film Festival Bozen – Elaborazione del lutto e Dark Tourism in concorso

Il nostro percorso nel Concorso del festival altoatesino dove il cinema è lo strumento personale e collettivo necessario ad elaborare il trauma della morte e abbracciare lo scorrere della vita

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Tra le anteprime della 37esima edizione del Bolzano Film Festival Bozen vi proponiamo un percorso che, come lo scorso anno, propone fiction e docufilm, scardinandone dettami formali e intenti, per tentare di tracciare un dialogo continuo tra l’atto ineluttabile della morte e lo scorrere della vita. Il cinema, in questo senso, può svolgere un ruolo terapeutico, creando una consapevolezza, prima personale e poi collettiva, sulla necessità e sulle modalità di elaborazione del trauma della perdita. Abbiamo scelto, all’interno del concorso, tre opere che riflettono attraverso metodi e operazioni diametralmente opposte, sull’inevitabile contrasto – ma anche sull’armonia – tra vita e morte, sulla loro difficile convivenza, sia in ambito famigliare sia in ambito collettivo.

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While the Green Grass Grows è il primo titolo da cui partiamo nel nostro personale resoconto. Un titolo ambiguo per l’ultima opera di Peter Mettler, documentarista svizzero-canadese, vincitore assoluto dello scorso festival svizzero Visions du Réel. Il progetto di Mettler è un mastodontico progetto di più di undici ore, diviso poi in sette parti, girato fra il 2019 e il 2021, di cui abbiamo potuto visionare solo un piccolo estratto, di circa 160 minuti. Mettler riprende a partire dal 2019 la sua quotidianità durante gli ultimi giorni di vita dei suoi genitori, emigrati settant’anni prima in Canada dalla Svizzera. Per lui riprendere tutto ciò che vede e vive, minuto per minuto, è l’unico modo che conosce per elaborare la sua esistenza. Avere un terzo occhio sulla vita davanti a sè lo aiuta (e ci aiuta) a sviluppare dei continui interrogativi. Cosa sto osservando in questo preciso istante? Qual è il mio personale rapporto con questo oggetto o con gli agenti atmosferici che riprendo, con la mia famiglia, con la vita che sto vivendo? L’idea del regista è quella di una continua immanenza della vita ancora prima della nascita o dopo la morte di ciascuno. Un concetto impossibile da decifrare ma che c’è, esiste, ed è percepibile nell’essenza della natura che ci circonda. Vivere, per Mettler, significa quindi lasciare che la videocamera riprenda e si sintonizzi con lo scorrere della vita. Nel frattempo, il documentarista inserisce un ulteriore riferimento: diversi materiali d’archivio di suoi film precedenti, dai primissimi cortometraggi fino al viaggio per incontrare il Dalai Lama. In tutte queste immagini d’archivio Mettler ritrova sempre stesso, anche a differenza d’anni. Il cinema, in questo senso, è anche una forma di reincarnazione della sua vita, dove tutto ritorna, anche solo per qualche istante, a vivere, a farsi immagine in movimento.

Souvenirs of War è invece la seconda tappa del nostro percorso. Il documentario del regista tedesco Georg Zeller racconta il fenomeno del Dark Tourism in Bosnia, dove i vecchi teatri di guerra del conflitto degli anni Novanta sono diventati attrazioni turistiche. Alla massimizzazione del profitto cercata attraverso la spettacolarizzazione della guerra con turisti invitati a giochi di combattimento lungo l’ex linea del fronte, un’altra fetta della popolazione risponde con il tentativo di sviluppare una memoria collettiva. Così, alcuni ex veterani e figli di vittime della guerra cercano di trarre il meglio dalla loro pesante eredità traumatica. Srebrenica e l’assedio di Sarajevo vengono raccontati con le lacrime agli occhi, a denti stretti. Lo shock post traumatico della guerra in Jugoslavia è un dramma che colpisce trasversalmente generazioni di uomini e donne bosniaci ancora oggi, trent’anni dopo la fine del conflitto. La riflessione sul valore della memoria, collegata al fenomeno del Dark Tourism, ricorda per certi versi quella fatta Sergei Loznitsa nel suo Austerlitz, dove il turismo si esauriva in azioni meccaniche e compulsive, uccidendo il senso ultimo di un percorso introspettivo all’interno del campo di concentramento e del museo di Sachsenhausen. A qualche anno di distanza, Zeller racconta come la memoria possa offuscarsi anche in chi avrebbe il compito di custodirla e conservarla, trasmettendola “a chi non c’era”. Il cinema, anche in questo caso, cerca di spingere ad una riflessione condivisa, richiamando ad una responsabilità, tanto personale quanto collettiva.

Il punto di arrivo del nostro viaggio tra le pieghe del concorso altoatesino è, infine,  Südsee, terza opera della regista tedesca Henrika Kull. In questo caso ci troviamo sì in un film di finzione ma la contingenza con l’attualità è ancora più forte di quella dei documentari appena trattati. Il film ci racconta tre giorni della vita di Anne e Nuri, due giovani che si conoscono solo grazie a un amico comune. I due si recano spontaneamente insieme a casa dei genitori di Nuri, sulle montagne tra Tel Aviv e Gerusalemme. Entrambi hanno studiato in Germania, lei è tedesca, lui vorrebbe prendersi la cittadinanza e scappare da “quell’inferno” che è Israele. Sullo sfondo, incombe il conflitto (che non ha coordinate storiche precise) tra l’esercito israeliano e Hamas e i due, al sicuro da guerra e sofferenza, trascorrono due giorni intimi in una piscina sotto la cupola di ferro. Mattina e sera passano nell’anonimato più totale. Citazioni colte, qualche birra, un paio di canne e qualche discorso sulle proprie tormentate relazioni amorose. Fuori dal centro dell’inquadratura si percepiscono dei bombardamenti. La morte vicina geograficamente ma lontano dallo sguardo (anche qui verrebbe da pensare ad un’altra opera ben più rinomata che ha fatto discutere da questo punto di vista), eppure la villetta sulle montagne di Gerusalemme diventa un luogo asfissiante, in cui la paura della morte e il senso di inadeguatezza nei confronti della vita raggiungono inaspettatamente i protagonisti del racconto. L’esistenza del popolo palestinese viene menzionata con indifferenza, la pace non è contemplata. Può esistere solo e unicamente una costante e infinita tensione, che è anche quella sessuale totalmente inespressa durante il soggiorno dai due non-amanti. E mentre ad esplodere è il dramma della guerra, Anne e Nuri rimangono bloccati nella loro solitudine interiore.

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