Body Odyssey – Intervista a Grazia Tricarico e Jacqueline Fuchs

Abbiamo intervistato la regista e l’attrice protagonista di Body Odyssey. Ci hanno raccontato cosa c’è dietro al film che è in cartellone al Nuovo Aquila di Roma fino al 17 aprile

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Questo di Grazia Tricarico è un film esplorativo della tendenza umana (autodistruttiva) alla perfezione. E per raccontare l’idea di corpi che mutano, evolvono, entrano in conflitto Jacqueline Fuchs – attrice protagonista e bodybuider – entra nuovamente nei panni di Mona. Dopo Mona Blonde del 2014 infatti la collaborazione delle due prosegue attraverso un viaggio fortemente visivo e immersivo. Ecco la nostra intervista a Grazia Tricarico e Jacqueline Fuchs; che abbiamo incontrato al Nuovo Cinema Aquila, dove Body Odyssey è in programmazione fino al 17 aprile.

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Per iniziare ci parli del tuo passaggio dal cortometraggio dedicato al personaggio di Mona, del 2014, al lungo? Quale è stato il tuo approccio?

Grazia Tricarico: Sicuramente il cortometraggio Mona Blonde che ha più di dieci anni era uno studio sul personaggio, su questo mondo, su questo corpo così particolare e su questa femminilità assoluta in un certo senso. E proprio perché avevo già in mente un idea sul lungometraggio, ho condotto una ricerca, uno studio col cortometraggio; che chiaramente ha rilanciato la curiosità. Poi molti anni per il lungo.

La tua prima collaborazione con Jacqueline infatti risale proprio al 2014, quando avete realizzato il cortometraggio Mona Blonde. Quanto è stato importante questo rapporto di lunga data per la costruzione del personaggio in Body Odyssey?

GT: È stato fondamentale. Siamo diventate subito amiche. Anche se non c’è stata una sua influenza diretta sulla sceneggiatura credo che l’ispirazione da Jacqueline per quanto riguarda la sua vita e alcune sue esperienze sia comunque è molto presente. Anche lei ha lavorato molto in quest’ottica, preparandosi per il ruolo.

Facendo un passo indietro, ci parli del vostro incontro? Come vi siete conosciute?

GT: In quel periodo cercavo una bodybuilder, quindi guardavo online e nei vari forum. Quello è stato il primissimo approccio. Poi immediatamente ci siamo viste e da subito c’è stata sintonia, perché Jacqueline è una persona incredibile, un energia solare e una dolcezza uniche.

Come mai la scelta di raccontare la tua idea di corpo, passando attraverso il mondo del bodybuilding? Questo è un ambiente che ti appartiene o che hai scelto di prendere in “prestito”?

GT: No, al contrario, io sono una persona poco atletica, mai entrata in una palestra prima di questo film e del corto! Per cui è un mondo che non mi appartiene affatto, e forse proprio per questo in un certo senso mi attrae. E il bodybuilder o la bodybuilder sicuramente è uno strumento che mi consente di parlare del conflitto nel corpo di tutti noi. Quindi è un corpo monolitico, un corpo estremo, che riflette tutta una serie di conflitti interni che sono anche universali ovvero che la cura dell’estetica, la ricerca della perfezione è assolutamente una prerogativa umana. La bodybuilder è sicuramente uno dei modi per parlare di questo.

Parlando invece di un aspetto più tecnico di Body Odyssey, vorremmo sapere qualcosa di più riguardo il missaggio del suono. Si avverte una particolare cura in questo aspetto.

GT: Assolutamente, siamo partiti con l’idea di lavorare su un film che fosse immersivo e sensoriale invece di puntare su meccanismi di empatia. Quindi quello che volevamo fare sia sul piano estetico e visivo che sonoro era un lavoro di contenitore/contenuto. Volevamo portare lo spettatore dentro e fuori il corpo. E il progetto sonoro di Body Odyssey è iniziato dalla scrittura della sceneggiatura. Abbiamo anche collezionato una gallery di suoni che poi sono entrati nelle musiche. Inoltre abbiamo usato uno strumento molto particolare che è il daxophone, per camuffarlo come una sorta di voce distorta, a volte più acuta, altre più grave. E tutto questo grande apparato sonoro abbraccia il film.

Jacqueline, questa è appunto la seconda volta che collabori con Grazia, dopo Mona Blonde. Com’è lavorare con lei?

Jacqueline Fuchs: Per me è stato un sogno che diventa realtà, forse anche un po’ folle. Ci conosciamo da dieci anni, e forse questo ha aiutato. Ma in questo film ho visto più chiaramente le mie intenzioni. Lei ed io abbiamo lavorato molto duramente per questo film. Davvero speciale come esperienza.

Quanto della tua esperienza personale hai messo in questo ruolo?

JF: Direi il 90 per cento. Anche se lo stile del film, il “genere”, possono sembrare estranianti in realtà il mio lavoro si è incentrato molto sugli aspetti emozionali e intimi, quindi personali. Assolutamente c’è molto di mio, della mia vita.

Pensando al futuro, pensi di proseguire con questo percorso nella recitazione? Ti piace?

JF: Lo spero moltissimo, mi piacerebbe. Ho già preparato il mio showreel. Spero che qualche regista o addetto ai lavori mi noti, e abbia da propormi nuovi progetti a cui partecipare. Nuove esperienze. Sarebbe davvero la realizzazione di un sogno per me.

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