Il segreto di Liberato, di Francesco Lettieri, Giuseppe Squillaci, Giorgio Testi e LRNZ

Svelare il mistero del cantante attraverso categorie documentarie come interviste ai collaboratori, biografia per animazioni e video dei tour mostra solo il cuore industriale del progetto Liberato.

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Nell’utilizzo dell’espressione “gioiosa macchina da guerra” tutti si concentra(ro)no sull’accostamento di due termini antitetici – il sentimento più positivo usato in forma aggettivato accanto a uno dei sostantivi più responsabili del suo contrario – perdendo così per strada il disvelamento della natura bellica ed industriale di un progetto politico nato molto più semplicemente per vincere una tornata di elezioni democratiche. E la sensazione che si ha di Il segreto di Liberato è per molto versi analoga a quello slittamento di senso: il progetto più moderno e sperimentale della recente musica commerciale italiana nei suoi 90 minuti di durata si riduce qui ad una giustapposizione di categorie documentarie iper-riconoscibili e poco mediate che intendono quasi esclusivamente celebrare il culto nato dietro al cantante napoletano. L’unico spazio di libertà, paradosso nemmeno tanto strano se si pensa a quel che succede anche negli ormai boomerizzati cinecomics, è rappresentato dalla traccia animata realizzata da Giuseppe Squillaci sugli splendidi disegni di LRNZ che racconta tre fasi importanti della vita di Liberato, sino a questo momento rimaste nell’ombra.

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A metà strada tra la narrativa musicale di Science Saru e l’angst adolescenziale di tanti lavori Studio 4°C, gli sbandamenti discografici-esistenziali del giovane artista partenopeo in una Londra “che è un cesso, punto” e soprattutto del suo amore per Lucia, la fumettista che lo abbandona per un tirocinio a Tokyo, sono quindi i soli inserti in cui si va oltre il molle ventre dell’agiografica mitopoiesi personale e soprattutto napoletana. Questa specie di gentrificazione dell’immaginario della città anche ne Il segreto di Liberato viene difatti lasciata libera di mettere in scena come in un rosario laico tutti i suoi grani e santini, soprattutto nei primi minuti in cui le paranze degli scugnizzi sdentati in slow-motion, l’evocazione del munaciello e di Arlecchino, le facce popolari dei quartieri popolari sembrano corrispondere all’immaginario degli utenti Netflix (che infatti lo co-produce) piuttosto che alle reali ispirazioni del cantante che di converso, altro esempio di stridente contrasto, in una sequenza reagisce in maniera scorbutica al traffico paralizzato della città. Altre allora sono le direzioni in cui i più sinceri spezzoni animati spingono questo documentario ibrido: dall’influenza dei Daft Punk che con la scontata Veridis Quo marcano sia la prima infatuazione dell’impacciato ragazzo col ciuffone che la sua educazione musicale (i caschi del duo francese ripresi più volte) alla dubstep incontrata nella capitale inglese, dai sintetatizzori del pioniere Giorgio Moroder (che in una straordinaria clip si autoparodia presentandosi con “My name is Giovanni Giorgio but everybody calls me Liberato) fino al Comicon, la fiera del fumetto in cui avviene l’ultimo incontro con Lucia e che è probabilmente uno dei luoghi più importanti della generazione segnata dal progetto Liberato.

Un progetto collettivo che finalmente qui può dare risalto alle numerose personalità che lo compongono ma che si fa un po’ prendere la mano nell’evidenziare chi, anche grazie a un po’ di guascona serendipità, ha contribuito al successo sempre più grande di un ragazzo che s’era presentato anonimamente al regista Lettieri con un file mandato tramite messaggistica. Ecco allora che i numeri delle visualizzazioni, le strategie innovative di marketing, la sciarpa del Napoli calcio ad ogni città europea “conquistata” non s’elevano mai ad elementi consapevoli di quello splendido caos organizzato ma rimangono alla stregua di benchmark di un brand che ha creato una sua nicchia di riferimento e l’ha saputa sfruttare. Come contraltare a questa vincente storia imprenditoriale del sud, resta tra le righe una certa insicurezza filosofica di fondo che fa in modo che le dirimenti questioni sottese la musica di Liberato siano affidate al commento di giornalisti del settore che, dall’alto della loro specializzazione, provvedono però soltanto ad un anodino inquadramento teorico. Così la carrellata di streamer che s’interrogano in maniera superficiale sull’identità del cantante – sì, viene anche ricordata l’ipotesi di Calcutta (o addirittura di suo padre!) come deus ex machina – ed il rapporto dello stesso artista con un anonimato a volte castrante (la necessità di ampliare i suoi cloni sul palco e nel backstage) sono spunti che si coagulano appena in superficie. E il voice-off di Liberato che sberleffa chi si aspettava l’agnizione – nessuno, dai – in realtà accompagna l’ultimo versetto di questa specie di genesi biografica, forse il più importante: l’origine nominale dell’alias. Che si può riassumere parafrasando proprio una delle espressioni napoletane più famose: anche Liberato tiene famiglia.

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Regia: Francesco Lettieri, Giuseppe Squillaci, Giorgio Testi e LRNZ
Voci: Liberato, Simona Tabasco, Nando Paone
Distribuzione: Be Water Film
Durata: 90′
Origine: Italia, 2024

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
Sending
Il voto dei lettori
3.75 (8 voti)
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