È tutto un gran vociare lassù sul Cervati, tra i rumori degli animali al pascolo, l’abbaiare dei cani, il fruscio del vento tra le foglie e lo scoppiettare dei fuochi d’artificio che illuminano a giorno il paesaggio avvolto dalle tenebre. A farsi largo è però anche il suono della voce dei pastori, lo stretto dialetto del Cilento che bruscamente si insinua tra gli “accenti” della montagna, andando a confondersi nella melodia di un ecosistema parimenti composto da uomini, piante e animali. Tra loro vi è Antonio, protagonista del secondo lungometraggio di Vanina Lappa Nessun posto al mondo, storico abitatore di questi luoghi trovatosi all’improvviso a fare i conti con una burocrazia che sembra volerlo estirpare dalle alture su cui girovaga da decenni.

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L’elevata tassa comunale impostagli sulle bestie da condurre al pascolo impedisce infatti al pastore di guidare la consueta transumanza stagionale, mentre il mancato allacciamento dell’acqua ne ostacola l’allevamento delle capre persino sul terreno di cui è proprietario. A tutto ciò si aggiungono poi gli attriti tra il protagonista e la sua comunità, specialmente con chi vorrebbe costringerlo a mettere collare e guinzaglio ai cani, che Antonio ama invece lasciare liberi di vagare tanto per le strade del paese, quanto per i sentieri di montagna.

È una terra avvelenata quella documentata dalla regista italo-francese, classe ’89; infettata da ingerenze istituzionali che vorrebbero imporre le proprie regole a discapito della legge della natura. Una terra che Lappa aveva già iniziato a farci conoscere diversi anni fa, in occasione della sua opera prima Sopra il fiume, del 2016, e che la vede qui “abbandonare” -momentaneamente – l’entroterra del Cilento per addentrarsi tra i rilievi della sub-regione campana, alla scoperta di nuove vie, nuovi significati, una nuova lingua.

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Nessun posto al mondo è, d’altro canto, innanzitutto un’opera di relazioni; racconto dell’amore che lega Antonio ai suoi animali – e più in generale a quella verde realtà di cui si sente parte; e insieme resoconto della velenosa incomunicabilità che ostruisce invece il suo rapporto con i compaesani, con quella folla che lui rifugge e dalla quale non riesce a farsi capire.

Un’opera che vive dell’alternarsi tra silenzi, rumori d’ambiente e inserti musicali centellinati – appositamente composti dalla collaboratrice di Lappa Caroline Shaw. Che resta particolarmente vicina ai volti “parlanti” dei suoi personaggi, connettendoli al contempo alla vastità del quadro naturale nel quale si inseriscono.
Un film che non si limita a guardare, ma sceglie consapevolmente di vivere i luoghi che racconta; dei quali assorbe il sudore, la frustrazione, persino la rabbia nei confronti di chi è esclusivamente interessato a violarli. Ma soprattutto quello straordinario sentimento di libertà che, almeno per quanto riguarda Antonio, nessun altro posto al mondo sarà mai in grado di restituire.

Premio del Pubblico come miglior documentario al 64° Festival dei Popoli

Regia: Vanina Lappa
Distribuzione: La Sarraz Pictures
Durata: 85′
Origine: Italia, 2023

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