When Evil Lurks, di Demian Rugna

Una storia di possessione che diventa invasione, in un horror che non cerca scorciatoie e racconta il male con onestà. Dal Bruxelles International Fantastic Film Festival

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Il primo elemento è quello che manca: la città, gli agglomerati metropolitani che non sono nella mappa dell’horror argentino, più indirizzato alla terra, alle distese in cui è ancora possibile trovare i demoni dal Male, come già in Los que vuelven/The Returned, di Laura Casabé o Almamula di Juan Sébastian Torales. Nonostante questo, però, When Evil Lurks non è il classico racconto folk o di contrapposizione campagna/città, perché il male è noto e tutto inizia con il ritrovamento di uno specialista inviato dal governo per risolvere la questione. Un esorcista “di stato”, che ci fa capire come la vicenda sia quasi una parabola post-apocalittica, di un mondo che ha già istituzionalizzato il “dopo” e ci è sceso a patti, lungaggini burocratiche e – appunto – imprevisti a parte. Già, perché dell’uomo in questione non è rimasto che un torso tagliato a metà e a farsi carico di combattere il male saranno due fratelli e proprietari terrieri. Loro, dopotutto, sono quelli che hanno trovato il “posseduto” che infetta lo spazio circostante e se ne liberano semplicemente portandolo via, ma il contagio di cui è portatore quella carcassa grondante pus non sarà comunque fermato.

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Su questi basici presupposti, il regista Demian Rugna costruisce il suo racconto, presentato al Bruxelles International Fantastic Film Festival dopo un percorso fortunato in altre manifestazioni di settore. Una storia di possessione che è principalmente invasione e residuo tentativo di scenderci a patti. La dinamica segue quella che aveva già retto il film più noto dell’autore, Atterrados, ed è tanto ansiogena quanto frenetica, si fugge per restare nel mondo che è già residuale: alle spalle ci sono infatti famiglie disgregate, figli afflitti da autismo in cui già si intravedono i segni di altri demoni, e bambini che nella migliore tradizione latina – il pensiero corre immediatamente al capolavoro Ma come si può uccidere un bambino di Narciso Ibanez Serrador – sono le gemme predestinate perché il contagio vada sempre avanti.

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L’aspetto liberatorio dell’operazione sta nel modo con cui Rugna porta avanti la sua idea: affastella regole, ma le piega alle esigenze del ritmo e del mostrare la vanità della lotta, non teme le scorciatoie del buon gusto, ma si affida al colpo duro, anche gratuito, non privo di una forte dose di humor nero, ma sempre amaro e efficace nell’economia espressiva generale. Soprattutto è un film onesto nella sua rappresentazione, estremamente consapevole che la pervasività del male è questione identitaria. Per questo, il modo in cui il contagio agisce è attraverso un gioco di inganni e maschere, in cui i posseduti sono morti che si spacciano per vivi, e il ribaltamento coinvolge i corpi, i ruoli sociali e prima ancora gli spazi stessi: il commissariato che all’intervento preferisce il rimpiattino con le legislazioni e le competenze, la casa felice che è ricettacolo di incomprensioni e scontri, la scuola sul cui palco teatrale si consuma non a caso l’atto finale. Solo l’unione tra fratelli sembra tenersi insieme, segno resistenziale per ribadire come questa sia una “piccola” vicenda privata, che però diventa in realtà racconto universale sulla fine del mondo e esibizione del suo fallimento.

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